Il presidente della Società italiana della riproduzione umana: «Con la seconda ondata ci aspettiamo un calo delle prestazioni, anche se lavoriamo in sicurezza. Mobilità dei pazienti e attese ridotte grazie alla telemedicina»
Chi desiderava avere un bambino, ma per metterlo al mondo aveva bisogno di un’assistenza medica, ha approfittato della pace ritrovata durante la stagione estiva per realizzare il suo sogno. «Tra i mesi di giugno e luglio c’è stato un aumento di circa il 20% delle richieste di prestazioni di procreazione medicalmente assistita, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente». A raccontare il post lockdown vissuto nei centri di fecondazione italiani è Antonino Guglielmino, presidente SIRU, la Società italiana della riproduzione umana. Due i motivi principali di questo incremento: «Da un lato – aggiunge il ginecologo – c’è chi ha voluto recuperare il tempo perduto durante la fase 1 della pandemia. Dall’altro chi, temendo una seconda ondata in autunno, ha voluto intraprendere in fretta il suo percorso».
Durante il lockdown tutti i centri, pubblici e privati, di procreazione medicalmente assistita hanno chiuso i battenti. «Già ad aprile – continua il presidente SIRU – era stato stimato un calo delle nascite di circa 5-6 mila unità in tre mesi. In media, i bambini nati da fecondazione assistita rappresentano il 3% di tutti i neonati in Italia».
La sospensione delle attività di riproduzione medicalmente assistita non è stata un’iniziativa solo italiana: «All’inizio della pandemia nessuno conosceva gli effetti che il virus avrebbe potuto avere sulla donna e sul suo bambino – spiega lo specialista -. Inoltre, la velocità con cui si è diffuso non ci ha lasciato altra scelta che interrompere le prestazioni per non mettere in pericolo il decorso di eventuali gravidanze. Tutti gli embrioni e i gameti già prelevati in quel periodo sono stati immediatamente crioconservati, per poter essere impiantati in seguito».
Ora, nel pieno delle seconda ondata i centri sono rimasti regolarmente aperti: «Il nostro lavoro continua – dice Guglielmini – ma ci aspettiamo un calo delle richieste di prestazioni. Nonostante sia garantito il massimo rispetto di tutte le misure di sicurezze, questa nuova fase della pandemia fa paura a molti».
Proprio in questi giorni la Siru si sta occupando del censimento di tutti i sistemi di sicurezza utilizzati nei centri di procreazione medicalmente assistita d’Italia per identificare e bloccare all’accesso le persone positive: «Non solo misurazione della temperatura e della saturazione dell’ossigeno – sottolinea l’esperto – ma anche test sierologi e test rapidi. Sono proprio questi ultimi ad essersi rivelati particolarmente utili per l’identificazione degli asintomatici che, attraverso l’utilizzo del solo triage, non sarebbero stati identificati».
Anche l’organizzazione interna dei centri ha subito dei cambiamenti. «Camice, mascherine, copricapo per operatori e pazienti, divisori in plexiglass per le segreterie e calcolo degli accessi consentiti per ogni singola stanza degli ambulatori. Vietato l’ingresso ai parenti e consentito l’accesso agli esami strumentali al solo componente della coppia che deve sottoporsi all’accertamento. A livello europeo, poi – aggiunge il ginecologo -, è stato ipotizzato di dividere lo staff in gruppi di lavoro, cosicché in caso di contagio non siano costretti alla quarantena tutti i professionisti della struttura, ma solo coloro che hanno lavorato all’interno dell’equipe in cui è stato individuato il contagiato».
La telemedicina, poi, ha totalmente rivoluzionato lo svolgimento di quelle consulenze che non necessitano di un contatto personale o di una prestazione strumentale. «Hanno evitato migliaia di spostamenti inutili, diminuendo anche lo stress vissuto da chi intraprende questo tipo di percorso sia per i chilometri che sono costretti a percorrere, sia per le lunghe attese che spesso si trovano ad affrontare. La mobilità per la fecondazione assistita è davvero alta: i centri di secondo e terzo livello in Italia superano le 150 unità, contro gli 8 mila Comuni presenti su tutto il territorio nazionale. La telemedicina è risultata così efficace – conclude Guglielmini – da aspirare a diventare uno strumento di comunicazione e di consulenza stabile, anche quando la pandemia sarà finalmente solo un lontano ricordo».
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