Nel 2016, secondo i dati dell’ISS, nei centri italiani sono state trattate 72.072 coppie sia con tecniche di I livello (inseminazione semplice) sia di II e III livello (fecondazione in vitro). In totale, i cicli iniziati sono stati 91.409 ed hanno permesso di dare alla luce, nello stesso anno, il 2,5% di tutti i bambini nati vivi in Italia. Lo specialista: «È l’ostetrica, o un’infermiera dedicata, ad accogliere la coppia, accompagnata da una psicologa. Dopo si passa alla visita ginecologica e, a seconda delle necessità, si chiederà la consulenza di altri professionisti, come l’andrologo, l’urologo o l’infettivologo»
La maggior parte sta per compiere 37 anni, il 35,2% del totale ha anche superato gli “anta”. È questa l’età media delle donne italiane che si rivolgono ad un centro di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) per realizzare il sogno di diventare madri. Un sogno che non per tutte, purtroppo, diventa realtà: «Secondo i dati del Registro italiano, che copre la totalità dei centri della Penisola – spiega Ludovico Muzii, professore associato di Ginecologia e Ostetricia all’università Sapienza di Roma -, solo il 15% delle donne che inizia un ciclo di PMA riesce a portare a termine una gravidanza».
Nel 2016, secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità (Relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40/2004 in materia di PMA, trasmessa al Parlamento lo scorso 28 giugno, ndr) nei centri italiani sono state trattate 72.072 coppie sia con tecniche di I livello (inseminazione semplice) sia di II e III livello (fecondazione in vitro). In totale, i cicli iniziati sono stati 91.409 ed hanno permesso di dare alla luce, nello stesso anno, il 2,5% di tutti i bambini nati vivi in Italia.
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Ma dietro a questi numeri si nascondono le storie di donne e di uomini che, al di là dei risultati ottenuti, hanno dovuto affrontare un percorso lungo e complesso, sia da un punto di vista fisico, che emotivo. Per raccontarlo, senza tralasciare alcun dettaglio, il professor Muzii ci conduce attraverso le stanze dell’UOC Infertilità e FIVET dell’Umberto I di Roma, dall’atrio di accoglienza, alle sale visite, passando per i laboratori, fino alla chirurgia, dove sotto la luce verdognola tipica della sala operatoria, ci spiega le tappe di questo particolare percorso.
«All’interno dei centri di PMA lavorano diverse figure professionali – dice Ludovico Muzii -. È l’ostetrica, o un’infermiera dedicata, ad accogliere la coppia, accompagnata sempre da una psicologa che seguirà gli aspiranti genitori durante tutto il loro viaggio. Secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità una coppia può essere definita sterile solo dopo che abbia tentato di ottenere una gravidanza per almeno 12 mesi senza successo. Se ci si rivolge ad un centro per l’infertilità prima che sia trascorso questo anno, il compito dell’equipe medica sarà semplicemente quello di rassicurare la coppia, spiegando che le loro preoccupazioni sono premature».
E anche in questo caso esiste l’eccezione che conferma la regola: «Ci sono delle condizioni in cui è opportuno rivolgersi ad un centro di PMA prima che siano trascorsi questi dodici mesi – aggiunge il ginecologo -. Se, ad esempio, una paziente ha dei cicli molti irregolari, una storia di infiammazioni pelviche o di endometriosi».
Superata la fase dell’accoglienza, si passerà alla visita ginecologica: «Sarà compito del ginecologo – dice Muzii – valutare gli esiti di tutti gli esami diagnostici, chiedendo, a seconda delle necessità, la consulenza di altri specialisti, come l’andrologo, l’urologo o l’infettivologo».
In alcuni casi, la visita ginecologica potrà addirittura escludere la necessità di ricorrere alle tecniche di PMA: «Esistono degli impedimenti che sono esclusivamente meccanici e che possono essere risolti con un semplice intervento chirurgico – sottolinea il professore di Ginecologia e Ostetricia -. In queste situazioni, risolta la problematica di sterilità, la percentuale di possibilità di ottenere una gravidanza potrà essere anche del 50%. Solo quando sarà certo che la correzione chirurgica da sola non è sufficiente a risolvere il problema, o che questa serve solo come preparazione alla metodica di PMA, allora la donna verrà sottoposta ad una procedura di induzione multipla dell’ovulazione. Questa permetterà di ottenere al momento dell’ovulazione non un solo ovocita, come avviene nel ciclo naturale, ma più ovociti, così da aumentare le possibilità di ottenere una gravidanza».
La procedura dell’induzione dell’ovulazione si completa con la tappa forse un po’ più traumatica per la paziente, effettuata esclusivamente sotto sedazione: «Si tratta del pick-up ovocitario – dice l’esperto – necessario per il recupero degli ovociti. Una volta prelevati, verranno affidati ai biologi per la fecondazione. Il laboratorio, dopo 3 o 5 giorni, restituirà l’embrione formato per giungere all’ultima tappa in sala operatoria: il trasferimento dell’embrione all’interno dell’utero della paziente». A questo punto la scienza avrà fatto la sua parte. Sarà la natura a scrivere il finale della storia.