Salute 1 Marzo 2021 16:53

PNE 2020: troppi ricoveri inappropriati, tanti gli ospedali che effettuano pochi interventi per tumore

Il ministro Speranza: «Il Programma Nazionale Esiti (PNE) è uno strumento fondamentale di progettazione del futuro: la stagione dei tagli deve finire, per lasciare spazio a quella degli investimenti»

di Isabella Faggiano
PNE 2020: troppi ricoveri inappropriati, tanti gli ospedali che effettuano pochi interventi per tumore

Monitorare la performance dell’assistenza territoriale e quella dei singoli chirurghi che operano nelle strutture pubbliche e nel privato convenzionato: sono questi i due obiettivi a cui punta il PNE 2021, il Programma nazionale esiti, curato da Agenas, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con il Dipartimento di Epidemiologia della Asl Roma 1.

Il PNE del 2020 in sintesi

Intanto, già il PNE del 2020, i cui dati – relativi al 2019  – sono stati presentati oggi presso il ministero della Salute, ha subito un restyling: gli indicatori analizzati sono passati dai 114 del 2012 ai 177 attuali (72 sugli esiti e i processi assistenziali, 75 sui volumi di attività e 30 sui tassi di ospedalizzazione) e le SDO (schede di dimissione ospedaliere) sono state arricchite di nuove voci che permettono di analizzare il lavoro dei singoli operatori.

I principali ambiti clinici analizzati, in relazione agli standard previsti dal Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), sono: cardio e cerebrovascolare, digerente, muscolo-scheletrico, pediatrico, ostetrico e perinatale, respiratorio, oncologico, urogenitale e malattie infettive.

Nel complesso, i ricoveri inappropriati sono ancora troppi e tanti gli ospedali che effettuano pochi interventi per tumore. Ma, guardando gli aspetti positivi del PNE, emergono un miglioramento della tempestività degli interventi per infarti e per la frattura del femore e una diminuzione dei parti cesarei.

A cosa serve il PNE

Il Programma non ha il puro scopo di mettere sotto esame la sanità italiana, piuttosto quello di valorizzare l’eccellenza, far emergere le criticità, creando una proficua competitività. E per raggiungere sempre al meglio questi obiettivi, il Direttore Generale dell’ Agenas, Domenico Mantoan, crede che sia fondamentale «accelerare la diffusione dei risultati ottenuti, arrivando a trasmetterli in tempo reale, E questo – aggiunge Mantoan – sarà possibile grazie agli investimenti previsti dal Recovery Fund che punta ad una maggiore diffusione della tecnologia in medicina e quindi anche ad un utilizzo su larga scala del fascicolo sanitario elettronico». Importanza di investimenti sottolineati anche dal ministro della Salute, Roberto Speranza, intervenuto alla conferenza di presentazione del PNE 2020: «La stagione dei tagli deve finire – sottolinea il ministro – per lasciare spazio a quella degli investimenti. Più risorse e spese meglio: questa deve essere la ricetta del futuro. Anche in un momento complesso come quello della pandemia che stiamo vivendo, non possiamo smettere di guardare al domani, programmandone il miglioramento».

I numeri del PNE

Pandemia a parte, tra il 2012 e il 2019, non sono pochi i cambiamenti positivi emersi dal PNE 2020. Vediamone nel dettaglio i principali risultati.

«I dati del PNE offrono interessanti elementi di conoscenza su alcuni aspetti rilevanti dell’organizzazione sanitaria – dice Giovanni Baglio, Coordinatore PNE dell’Agenas -. Si tratta di: frammentazione della casistica, tempestività di accesso ai trattamenti, inappropriatezza clinico-organizzativa e ospedalizzazione evitabile».

Cominciamo dalla frammentazione della casistica. «Il PNE ha rilevato un trend in diminuzione per il Bypass aorto-coronarico, con un calo del 12% tra il 2012 e il 2019 – dice Baglio -, soprattutto per la combinazione di questa operazione con altri interventi vascolari e per il ricorso più frequente a procedure non chirurgiche come l’angioplastica (procedura mini-invasiva eseguita in anestesia locale, ndr) per il trattamento della coronaropatia ischemica. Osservando i dati relativi al trattamento del cancro alle mammelle – aggiunge il Coordinatore del PNE – nel 2019 sono state 152 le unità operative che hanno effettuato almeno 135 interventi l’anno (il margine di tolleranza fissato dal PNE è più basso di quello previsto dal Dm 70 di 150 operazioni chirurgiche annue). Di queste, solo 136 strutture hanno raggiunto gli standard ottimali, offrendo al resto delle pazienti (un terzo del totale) trattamenti non sufficientemente adeguati».

Per quanto riguarda il secondo aspetto, la tempestività di accesso ai trattamenti, sono aumentate le fatture di femore operate entro le 48 ore. In sette anni sono stati registrati 10mila interventi in più (da 84.698 nel 2012 a 94.643 nel 2019). Considerando il tetto minimo di 75 interventi annui per struttura complessa, fissato dal Dm 70, nel 2019 il risultato del 61,7% delle strutture analizzate è nei parametri (426 strutture su 690). In 171 realtà, quasi il 25%, gli interventi sono meno di 10 all’anno.

In tema di inappropriatezza clinica diminuiscono i tagli cesari, passando dal 25,3% al 21,5% del 2019 (nel 2004 il valore era al 37%). Un calo non ancora sufficiente rispetto allo standard internazionale fissato dall’Oms tra il 10 e il 15%. «Le tonsillectomie esprimono bene il concetto di inappropriatezza clinica – commenta Baglio -. Solo in 12 mesi sono stati registrati 7mila interventi non necessari. Più in generale, si nota che gli eccessi di ricovero permangono laddove non c’è una risposta adeguata a livello territoriale».

Ed è quest’ultima affermazione a proiettarci direttamente al punto 4: l’ospedalizzazione evitabile. «La diminuzione è stata lieve: dallo 0,42% del 2016 allo 0,38% nel 2019. Ci sono patologie, come il diabete o le broncopneumopatie croniche ostruttive – commenta il Coordinatore del PNE – che se trattate a livello territoriale potrebbero impedire l’ospedalizzazione».

I prossimi obiettivi

Ma veniamo ora alle sfide future: monitorare la performance dell’assistenza territoriale, quella dei singoli chirurghi che operano nelle strutture pubbliche e nel privato convenzionato e rendere gli esiti fruibili in tempo reale.
«Attualmente grazie alle nuove SDO (schede di dimissione ospedaliere) riusciamo a monitorare il lavoro dei singoli operatori, constatando che laddove si registra un’attività più intensa gli esiti sono migliori – spiega  Marina Davoli, responsabile tecnico P.N.E. dell’Agenas -. Idealmente, da un punto di vista scientifico, sarebbe possibile monitorare anche il lavoro dei professionisti territoriali».

L’importanza delle SDO è stata ribadita anche dal Direttore Generale dell’Agenas Domenico Mantoan: «Sono uno strumento straordinario che da parte di chi le compila non devono essere viste come un adempimento burocratico, ma come una grande opportunità per valutare la qualità clinica. Allo stesso tempo, però, è necessario che questi dati di qualità, nel pieno rispetto della privacy, circolino in fretta così da permettere modifiche più tempestive laddove si evidenzino delle criticità».

I Dati del PNE 2020, purtroppo, non possono essere considerati un punto di partenza, semmai la situazione nella quale ci trovavamo prima che esplodesse l’emergenza Covid-19. Per avere i dati ai tempi della pandemia, e quindi una fotografia della situazione attuale, sarà necessario attendere ancora qualche mese: «A luglio sarà presentato il prossimo PNE. Ma già in primavera – promette Mantoan – dovremmo avere una versione del sito più aggiornata che permetta a tutti, cittadini compresi, di accedere con facilità ai dati di volta in volta elaborati». Cosicché anche i pazienti possano scegliere con maggiore consapevolezza dove e da chi farsi curare, indirizzandosi verso quelle strutture in grado garantire le perfomance più adeguate al trattamento della propria patologia.

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