Il Piano nazionale cronicità non ha inciso sulle differenze tra territori. Sebbene questo sia stato ormai formalmente recepito da 15 Regioni, risulta, nella maggior parte dei territori, profondamente disatteso
Cure disuguali a seconda del luogo di residenza. Dal riconoscimento dell’invalidità e dell’handicap al sostegno psicologico, dalle liste di attesa per visite ed esami all’accesso ai farmaci, i cittadini con malattie croniche e rare sperimentano sulla loro pelle che l’accesso e la qualità delle cure nel nostro Paese non è uguale per tutti. A certificarlo il XVII Rapporto sulle politiche della cronicità, dal titolo “Regione che vai, cura che trovi (forse)”, presentato oggi a Roma da Cittadinanzattiva, con il sostegno non condizionato di MSD.
Tali disuguaglianze non sono state colmate dal Piano nazionale cronicità. Sebbene questo sia stato ormai formalmente recepito da 15 Regioni, risulta, nella maggior parte dei territori, profondamente disatteso nei fatti come dimostrano i dati forniti dalle 47 Associazioni del CnAMC che hanno partecipato all’indagine.
«In questo quadro, è evidente che vada affrontato con urgenza il tema delle disuguaglianze, soprattutto alla luce del recente dibattito sul regionalismo differenziato», dichiara Antonio Gaudioso, Segretario generale di Cittadinanzattiva. «Per questo, abbiamo avanzato una proposta di riforma costituzionale che incida sull’articolo 117, introducendo come elemento di garanzia per la tutela della salute il riferimento esplicito al diritto del singolo individuo e il richiamo al principio di sussidiarietà per consentire ai livelli istituzionali più alti di intervenire qualora quelli più prossimi ai cittadini non garantiscano i servizi. La campagna “Diffondi la salute” www.diffondilasalute.it è stata già sottoscritta da oltre 80 realtà del non profit e delle professioni, e accolta già alla fine della passata legislatura da un ampio fronte bipartisan. Ci batteremo affinché la stessa venga presto calendarizzata in Parlamento».
«Allo stesso tempo, – continua Gaudioso – crediamo che per colmare le differenze territoriali così evidenti sia necessario dare piena attuazione al Piano nazionale cronicità, anche attraverso l’emanazione da parte delle Regioni delle delibere applicative. Vigileremo affinché, come stabilito dalla nuova bozza del Patto per salute, si proceda finalmente ad un riordino dell’assistenza territoriale con l’emanazione di un provvedimento, analogamente a quanto già fatto per l’assistenza ospedaliera con il DM 70/2015, che dia omogeneità ai servizi territoriali sociosanitari e risponda realmente ai bisogni di salute della popolazione».
I RISULTATI DEL XVII RAPPORTO CnAMC
La prevenzione resta la cenerentola della sanità italiana: soltanto una associazione su tre certifica la realizzazione di corsi di prevenzione a livello nazionale che, in oltre l’80% dei casi, sono promossi dalle stesse associazioni.
Oltre l’80% denuncia ritardi nella diagnosi, imputabili alla scarsa conoscenza della patologia da parte di medici e pediatri di famiglia (70%) e al poco ascolto del paziente (42%).Molto carente l’integrazione tra assistenza primaria e specialistica (lo denuncia il 73%), così come la continuità tra ospedale e territorio (69%); il 41% denuncia inoltre la mancata personalizzazione delle cure.
Più di due associazioni su tre (68%) denunciano lunghe liste di attesa: ad esserne afflitti soprattutto i pazienti del Lazio, della Campania e della Calabria. Solo una su tre afferma che visite ed esami per la gestione della patologia sono prenotati direttamente dallo specialista, mentre la maggioranza dei cittadini deve provvedere autonomamente, attraverso il CUP (60%) o recandosi direttamente agli sportelli ospedalieri (28%).
I Piani di cura personalizzati sono attuati solo in alcune realtà e per il 40% delle associazioni non esistono affatto. Anche i Percorsi diagnostici-terapeutici, laddove esistono, valgono solo per alcune patologie e soltanto in alcune regioni. In tema di assistenza ospedaliera, il 70% lamenta di doversi spostare dalla città in cui risiede; il 53% denuncia la mancanza di personale specializzato, uno su tre lunghe liste di attesa per il ricovero. Non sono pochi i casi di chi è costretto a pagare una persona che l’assista durante il ricovero (lo denuncia il 23%) ed anche i casi di chi si porta i farmaci da casa (17%).
Nel caso delle RSA e lungodegenze, il primo problema è accedervi a causa delle lunghe liste di attesa (63%), segue come problematica la mancanza di specialisti (37%) e la necessità di pagare una persona per assistere il malato (26%). La riabilitazione non è totalmente garantita dal SSN, visto che per un’associazione su cinque il cittadino deve integrare a proprie spese per avere le ore sufficienti e uno su tre deve addirittura provvedere privatamente del tutto.
Non va meglio per l’assistenza domiciliare che, secondo l’82% delle associazioni, viene erogata solo in pochi casi; inoltre per il 70% le ore non sono comunque sufficienti, per il 53% mancano figure specialistiche, in particolar modo lo psicologo. Nell’ambito dell’assistenza protesica ed integrativa, quasi il 60% lamenta tempi troppi lunghi per l’autorizzazione, e più della metà la necessità di sostenere delle spese per l’acquisto di protesi, ausili e dispositivi non erogati dal SSN. Inoltre, una associazione su quattro rivela che i pazienti devono pagare di tasca propria per acquistare protesi ed ausili in quantità sufficiente, o di migliore qualità, o più adatti ai propri bisogni.
Per quanto riguarda l’assistenza farmaceutica, in cima ai problemi si trova la spesa economica per farmaci in fascia C o a causa delle limitazioni di budget da parte delle ASL o aziende ospedaliere (41%); segue la limitazione di prescrizione da parte del medico di medicina generale e pediatri (28%). A detta del 54% delle associazioni, i bisogni psicosociali non vengono presi in considerazione: in particolare, mancano le forme di sostegno psicologico e di tutela sul lavoro (65%) nonché le forme di sostegno economico (51%).
Altra nota dolente, l’aderenza terapeutica: per il 46% risulta difficile a causa dei costi indiretti, come i permessi sul lavoro o gli spostamenti; per il 30% a causa delle difficoltà burocratiche connesse alla terapia; per il 22% a causa della indisponibilità in farmacia o perché la terapia è troppo costosa.
Per quanto riguarda l’umanizzazione delle cure, gli elementi sui quali bisognerebbe maggiormente agire sono la mancanza di aiuto nella gestione della patologia, coniugata con la mancanza di ascolto da parte del personale sanitario (74%). Altri due aspetti che rendono particolarmente gravosa la vita delle persone affette da patologie croniche e rare sono le liste d’attesa (68%) e la burocrazia inutile (55%). Ad essere, poi, ancora oggi sottovalutato è il dolore, sia quello fisico che quello psicologico (53%).
Di seguito una sintesi delle principali voci di costo sostenuto, annualmente, dai pazienti con malattie croniche e rare.