Stefano Alice era in servizio quel fatidico 14 agosto: dal suo studio si vede il viadotto crollato. «Nelle prime ore libere che ho avuto – racconta – mi sono unito alle squadre dei soccorsi per organizzare l’assistenza agli sfollati». Al Congresso Fimmg omaggio alle vittime con un flash mob
Un fulmine e poi è venuto giù tutto. A quasi due mesi dal crollo del ponte Morandi a Genova, che si è portato via 43 vite, il capoluogo ligure è ancora spezzato in due e alle prese con la difficile fase della ricostruzione: solo pochi giorni fa è stato nominato il Commissario individuato nella figura del sindaco Marco Bucci. Quel maledetto 14 agosto resta nella memoria di tutti i genovesi, soprattutto di chi era in città e ha vissuto il dramma da vicino, come il medico di famiglia Stefano Alice che quel giorno era in servizio nel suo studio dalle cui finestre si vede il ponte Morandi e ha raccontato a Sanità Informazione i momenti successivi al crollo, il tam tam che ne è seguito e il lavoro dei camici bianchi che si sono messi a disposizione della cittadinanza e degli sfollati in quei frangenti drammatici.
«Nelle prime ore libere che ho avuto – racconta Alice – mi sono unito alle squadre dei soccorsi per organizzare l’assistenza agli sfollati. Sono andato avanti e indietro per via Porro chiedendo alle persone se avevano bisogno di aiuto o semplicemente di essere ascoltati, per dare una sensazione di vicinanza». Il Congresso Fimmg che si è svolto a Chia, in Sardegna, e dove Stefano Alice ha partecipato, ha rivolto un omaggio alle vittime di Genova con un flash mob: al termine della relazione del Segretario Silvestro Scotti è apparsa sullo schermo l’immagine di un medico e di un paziente che si abbracciano di spalle per sorreggere quel che resta del Ponte Morandi di Genova: a quel punto anche la platea dei camici bianchi si è unita in un grande abbraccio con un lungo applauso finale.
Dottor Alice, torniamo a quel maledetto 14 agosto. Lei era in studio…
«Era un giorno prefestivo, io e gli altri colleghi eravamo in studio e abbiamo avuto questa terrificante notizia. Siamo rimasti completamente attoniti e immediatamente è partito un tam tam dalla segreteria provinciale del nostro sindacato, la Fimmg, che ci ha invitato a rimanere in servizio anche dopo l’orario di chiusura e di rimanere attivi anche il pomeriggio. Il significato di questa iniziativa era che noi non sapevamo quanto sarebbero stati impegnati gli ospedali cittadini a causa delle conseguenze di tipo traumatico per il crollo del ponte. Pioveva, era un giorno di vacanza e potevamo pensare che sul ponte non ci fosse un numero enorme di transiti ma il problema era anche rappresentato dai palazzi sotto il ponte: non sapevamo se il crollo li avesse coinvolti o no. Quindi la nostra prima idea è stata ‘rimaniamo aperti in tutta la città per far sì che le persone non si debbano spostare’, le comunicazioni stavano andando in tilt e in questo modo potessimo sbrigare tutto quello che non era trauma legato al crollo del ponte. Questo il significato iniziale del nostro intervento. Purtroppo il significato è cambiato perché le persone che erano sul ponte sono morte, abbiamo avuto 43 decessi e 5 codici rossi: la struttura ospedaliera cittadina è stata in grado di gestire tutto. Per fortuna parte del ponte non è crollata e i palazzi che c’erano sotto si sono salvati. Così il 15 agosto l’Agenzia ligure per la sanità (Alisa) diretta dal dottor Walter Locatelli ha contattato Andrea Stimamiglio segretario regionale della Fimmg e ci ha chiesto di tenere aperti cinque studi nelle tre zone: levante, ponente, centro storico e nelle due valli in maniera da evitare che la gente dovesse girare per qualunque tipo di necessità sanitaria. Così abbiamo fatto e poi dal giorno 16 agosto è stato istituito un polo di guardia medica aggiuntivo dedicato agli sfollati perché c’era il problema della zona rossa con le persone rimaste fuori di casa. Io ho fatto il primo turno, mi sono offerto di farlo gratuitamente su base totalmente volontaria».
Lei ha lo studio a due passi dal ponte. Passati quasi due mesi, com’è l’umore dei genovesi, quale approccio hanno avuto rispetto a questa tragedia?
«La risposta dei genovesi è stata eccezionale, all’insegna del ‘dobbiamo andare avanti’. La nostra prima preoccupazione è stata quella che non si pensasse che la città fosse in ginocchio e che non si cominciasse a pensare ‘cosa andiamo a fare a Genova’, che non si vedesse Genova come una città ferita e in lutto. È una città con una gran voglia di ripartire, anche dalle sue rabbie: questo è l’umore generale».