Il Professore Emmanuele A. Jannini, specialista in andrologia e medicina della sessualità: «La paura delle novità esiste da sempre, ma la grandissima maggioranza delle persone usa felicemente Internet e ne sfrutta gli infiniti vantaggi, basta non abusarne»
«Quando sono arrivate le locomotive, gran parte dei contadini credeva che quel masso di ferraglia sbuffante fosse una chiara rappresentazione del demonio. Ecco, allo stesso modo oggi le soluzioni tecnologiche, sempre più innovative, spaventano prima che risulti chiaro il vantaggio che portano». È una voce fuori dal coro quella di Emmanuele A. Jannini, Professore di Endocrinologia e Sessuologia Medica presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, che spiega come l’utilizzo di internet, se fatto con criterio e consapevolezza, non sia pericoloso, ma possa anzi rappresentare «una vera e propria risorsa».
«La verità è che la grandissima maggioranza delle persone usa felicemente internet, che ha innegabilmente migliorato la qualità della vita di tutti – spiega il Professore -. Sicuramente questo miglioramento è avvenuto in cambio di cose molto preziose relative soprattutto alla privacy: l’utente sceglie delle informazioni da cedere a terzi in cambio di tanti vantaggi. Non credo che questa dinamica comporti un allarme sociale ma semplicemente necessiti di una soglia più alta di attenzione».
Secondo Jannini prima di parlare di ‘nomofobia’ (fobia di rimanere sconnessi dal web) bisognerebbe discutere di ‘neofobia’ (fobia della novità): «Questa ‘paura della novità’ – sottolinea – è un atteggiamento che c’è sempre stato e sempre ci sarà di fronte a tutto ciò che non si conosce. Quindi il web, il social, l’incapacità di controllare tutte le informazioni che vi circolano, sono elementi che hanno innescato un meccanismo fobico incontrollato. A questa regola non è un’eccezione l’attuale presenza di questi strumenti nella vita sentimentale e sessuale delle persone».
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«Un esempio indicativo di ‘fobia collettiva’ è l’atteggiamento nei confronti della pornografia (più in passato che adesso): non c’è nessuna prova che la pornografia in rete possa modificare o generare mostri o patologie, esattamente come non esiste prova che il vino Chianti provochi alcolismo, ma è ovvio che per un alcolista bere Chianti possa essere un’abitudine estremamente dannosa. Dunque, come in tutte le cose, la predisposizione di base è terreno fertile per la nascita di patologie. Non è lo strumento il pericolo, ma è l’uso che se ne fa e le motivazioni dell’uso stesso».
«Mi sembra opportuno fare un altro esempio relativo alla storia della pornografia e dei ragazzini: è assolutamente fuori dubbio che se un ragazzino maschio o femmina impara tutto quello che c’è da sapere sulla sessualità attraverso siti porno, avrà delle aspettative diverse dalla realtà – prosegue Jannini -. È così che si generano dei mostri e ad avere un ruolo determinante in questi termini è la scuola che non è capace ad insegnare una corretta educazione sessuale. Nessuno insegna ai ragazzini che quello che vedono on line è cinema, è finzione. Quindi il problema non nasce dallo strumento ma dall’educazione che viene impartita rispetto al modo corretto di utilizzarlo».
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La formazione su questi temi è fondamentale, spiega il Professore, ma lo è ancora di più in riferimento a ‘individui’ particolarmente predisposti a sviluppare dipendenze e a «perdere la cognizione del reale e dell’irreale – conclude -. Esiste un preciso identikit della persona predisposta alla dipendenza: si tratta di individui deboli con un bisogno di gratificazione perenne, semplice e ripetitivo; si tratta di persone che nella ripetizione del gesto trovano conforto alla loro depressione, ansia, sensazione di inadeguatezza, di immaturità, è un quadro piuttosto articolato. Certamente la cifra che le individua meglio è quella della debolezza: basti pensare che individui con forte personalità hanno provato la droga e non hanno corso alcun rischio di sviluppare una dipendenza».