Le istanze dei pazienti con porpora trombotica trombocitopenica passano dalla presenza del test Adamts13 nei LEA fino alle richieste sociali facilitate. La senatrice spiega come la Legge sulla disabilità e il Testo unico sulle malattie rare cambieranno questo quadro
Sintomatologia sfumata e circa 280 pazienti in tutta Italia, la porpora trombotica trombocitopenica è una malattia molto rara e autoimmune che influenza la coagulazione del sangue. In alcuni soggetti è anticipata da petecchie rosse sulla pelle che le conferiscono il nome di porpora e colpisce più donne che uomini, più giovani che anziane.
Nonostante i progressi della ricerca, l’esistenza del test Adamts13 per diagnosticarla e l’uso di un farmaco efficace per tenerla sotto controllo, la diagnosi rapida e precoce è essenziale per non rientrare in quel 20% di mortalità che ancora resta. Per farlo è essenziale che i medici intercettino presto la sintomatologia e indirizzino i pazienti verso il test che potrà decretare con certezza la malattia, che però è ancora disponibile in pochi centri in Italia e, per ora, fuori dai Livelli essenziali di assistenza (LEA).
Sanità Informazione ha raggiunto la presidente dell’intergruppo Malattie rare in Senato Paola Binetti, che ha specificato quanto il Testo unico sulle Malattie rare possa rappresentare la svolta in questo senso. «Per noi – spiega Binetti – la cosa fondamentale è che i LEA conservino la chiarezza dell’impianto ma anche la flessibilità per recepire il prima possibile quelli che sono gli avanzamenti della ricerca sia sul piano diagnostico che su quello terapeutico. Ma non è possibile che il paziente quando sa che c’è una possibilità di accedere a una diagnosi e terapia adeguata di fatto non possa accedervi perché esistono quelli che noi chiamiamo i ritardi burocratici».
Ed è proprio su questi che le Istituzioni devono intervenire. «Sta a noi ora – continua la senatrice – cercare di capire come cercare di rendere esigibili per i pazienti questo tipo di offerte che sono un diritto, perché la nostra Costituzione parla della salute come diritto fondamentale. Nel caso della porpora trombotica trombocitopenica si tratta di un test complesso che fino a poco tempo fa richiedeva delle competenze molto speciali e quindi doveva essere affidato a centri ultraspecializzati. Oggi come oggi anche da questo punto di vista è stato fatto un passo avanti significativo per semplificarlo e quindi il test può essere disponibile anche in tutte le buone ematologie che ci sono nei nostri ospedali. Perciò è giusto che ci sia e che i pazienti possano fare questo test quando è necessario».
Con le associazioni di pazienti è emerso che i bisogni non si esauriscono però solo a quelli di salute, ma entrano e influiscono anche nella sfera sociale. Di cui fanno parte tutte quelle legittime richieste per una vita più semplice e di migliore qualità. «Noi ci siamo battuti e ancora lo stiamo facendo – conferma Binetti – perché quando si parla di LEA non sia soltanto l’assistenza sanitaria ma quella socio-sanitaria. I bisogni di assistenza sul piano sociale sono un diritto per i pazienti. Nella misura in cui le politiche sociali afferiscono a un Ministero diverso da quello del Ministero della Salute è chiaro che si forma una logica “schizofrenica” per cui quello che è possibile sul piano sanitario diventa più difficile da ottenere sul piano degli interventi di tipo sociale».
«Recentissimamente nel disegno di legge presentato sulla disabilità questa capacità di tenere insieme misure sociali e sanitarie è molto evidente. Se questo lo si ottiene anche in questo disegno di legge evidentemente farà da apripista per molte altre cose. Nel caso dei malati rari – ha concluso la senatrice – già nella legge che abbiamo appena approvato poco più di un mese fa c’è un articolo speciale dedicato alle politiche sociali nel senso che è stato istituito un fondo per venire incontro a questi bisogni. Un fondo che noi consideriamo insufficiente davanti ai 2 milioni di pazienti, ma vale sul piano del principio. Noi vorremmo che questi due binari fossero intrecciati e che il paziente potesse contestualmente considerare i bisogni di tipo sanitario e sociale sempre come un bene a cui può fare riferimento nel momento in cui ne percepisce l’esigenza e la necessità».
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