Nato poco prima della pandemia oggi è un punto di riferimento per 250 donne di diversa etnia: arabe, ispaniche, ucraine e russe. Hanno ansia e depressione da Covid, molte sono vittime di violenza. Psicologhe madrelingua garantiscono competenza professionale oltre a comprensione linguistica e culturale
Si chiama Wasi che in lingua quechua (uno degli idiomi dell’America Latina) significa Casa perché il primo sportello psicologico per donne migranti nato in Italia vuole essere proprio il porto sicuro di tante donne che, dopo aver intrapreso viaggi della speranza, cercano un luogo dove potersi esprimere, trovare supporto psicologico, ma anche un rifugio alla violenza o una chance lavorativa.
«Il nome Wasi è stato scelto con cura, quattro lettere in grado di esprimere il significato dell’iniziativa, senza trascurarne le origini», racconta a Sanità Informazione Lucia Fucinelli responsabile dello sportello psicologico per donne migranti realizzato attraverso la collaborazione tra le sedi di Roma e Milano dell’agenzia Scalabriniana per la cooperazione e lo sviluppo. Sono circa 90 le donne che al trimestre si rivolgono a Wasi: 46% sono ispaniche, 31% arabe, 10% portoghesi, 8% slave e 5% anglosassoni.
«Il progetto è nato nel mese di luglio 2019 per la comunità latino -americana a cui si sono aggiunte poco dopo le donne ucraine e russe. Tre etnie di lingua diversa hanno reso necessario l’arruolamento di quattro psicologhe – riprende Lucia -. Una prova generale che è durata qualche mese, per poi dare il via ufficialmente al progetto nel mese di gennaio 2020, proprio a ridosso della pandemia. Col tempo abbiamo raggiunto anche le donne in lingua portoghese, inglese e araba». La pandemia ha mischiato le carte, ha amplificato i bisogni e accelerato l’azione del centro di ascolto. «Attualmente le psicologhe sono sei, tutte di etnia e lingua diversa per meglio entrare in sintonia con le donne migranti, l’intento è di unire alla competenza professionale la piena capacità di comprensione linguistica e culturale, conoscere il loro stile di vita e le loro esigenze».
«Ad aver bisogno sono donne di diverse fasce di età – evidenzia Lucia – : le under 30 sono il 27%, dai 30 ai 40 anni abbiamo una percentuale del 38% dai 41 ai 50 anni sono il 20%, mentre over 50 un 14%. I problemi più evidenti denunciati dalle migranti sono ansia e depressione». A causa del Covid poi un dieci per cento fino alla metà del 2021 ha dovuto fare i conti con la gestione del lutto. «Superati i mesi più difficili della pandemia – aggiunge Lucia – oggi solo una piccola parte (circa il 3%) ha ancora problemi di quel tipo, per lo più (il 24%) si rivolge a noi per conflitti famigliari, molte sono vittime di violenza fisica, psicologica ed economica, mentre una piccola parte ha disturbi psichiatrici».
Tutte le psicologhe che seguono individualmente le donne sono madrelingua. Una scelta che Lucia definisce «un punto di forza dello sportello perché in questo modo entriamo proprio nelle usanze delle donne e delle loro famiglie». Gli incontri di assistenza psicologica sono individuali, a cui si affiancano i gruppi Ama, ovvero di Auto Mutuo Aiuto nei quali le donne, partendo da un punto di riflessione in materia di disagi psicologici connessi alla migrazione, hanno modo di condividere la propria esperienza personale con altre partecipanti. «Ci siamo resi conto che questi incontri sono diventati una necessità perché permettono alle donne di condividere le esperienze, di socializzare e coltivare rapporti interpersonali». In questo momento allo sportello ci sono due psicologhe di lingua spagnola di cui una per le neomamme; una in lingua portoghese che sta lavorando anche con le donne ucraine in un progetto sperimentale che cerca di unire le due comunità, e infine una in lingua araba.
Tra il 2020 e il 2022 sono stati fatti decine di incontri di formazione sulla salute psicofisica della donna, mentre da settembre 2022 sono iniziati anche i workshop tematici. «Appuntamenti a cui partecipano tutte le donne per affrontare insieme tematiche come la potenza del femminile o come imparare a proteggersi da uomini violenti – dice la responsabile – . I due percorsi, individuale e collettivo, sono complementari; le donne possono scegliere se farli insieme o affrontarne solo uno». Il tema della violenza di genere è tra i più sentiti, per questo lo sportello psicologico Wasi si inserisce in una più ampia realtà Wasi casa a cui fanno parte anche Caritas Ambrosiana, Università di Pavia e Cooperativa Farsi Prossimo con l’intendo di dare una casa rifugio alle donne e di renderle libere anche da un punto di vista economico. Ci sono corsi per acquisire e valorizzare professionalità e competenze come conseguire la patente, imparare l’italiano e l’inglese, ma anche corsi come la scrittura creativa che «possono nutrire l’anima e aiutare ad individuare le skills da potenziare per trovare un lavoro ed uscire dalla dipendenza economica».
Il percorso psicologico dello sportello Wasi prosegue per almeno un anno e strada facendo si arricchisce di nuove opportunità che per l’85% delle donne migranti significa salvezza. «Non è facile arrivare ad un finale da fiaba – ammette Lucia – anche se la percentuale di chi riesce a trovare la giusta strada è buona. Non è facile però trattenere le donne migranti, alcune fanno un percorso breve e poi si allontanano perché non riconoscono il problema, o si trasferiscono, altre invece ci seguono in molte iniziative come i corsi di yoga e di teatro. In futuro cercheremo di rendere il servizio più efficace coinvolgendo un maggior numero di persone, dalle famiglie di provenienza ai leader delle comunità di appartenenza delle donne migranti».
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