Ilaria Capua: «Il virus è di origine animale, se qualcuno ci ha giocato lo sapremo dalle sequenze». Rino Rappuoli: «Vaccino in massimo 18 mesi». Alberto Mantovani: «Avere anticorpi non significa che non ci si ammalerà»
Le terapie intensive si svuotano, i guariti aumentano e anche il numero dei decessi, il più difficile da abbassare, sembra finalmente scendere. Il Covid-19 fa parte ormai della vita quotidiana degli italiani, mascherine e guanti sono gli oggetti più cercati sui siti di shopping e da dieci giorni quasi 4 milioni di persone sono tornate a lavoro.
Siamo entrati nella fase della responsabilità individuale, lasciandoci dietro le limitazioni restrittive del lockdown più duro. Al mondo di domani ci si dovrà approcciare con una nuova consapevolezza, ma cosa sappiamo veramente del virus ad oggi e che futuro possiamo aspettarci? Nel webinar “Prepariamoci al futuro” hanno provato a rispondere esperti e accademici dell’eccellenza sanitaria italiana.
Sull’origine del virus, al centro di un dibattito che ha visto molti leader mondiali metterne in dubbio la provenienza “naturale”, si è espressa Ilaria Capua, virologa dell’University of Florida One Health Center of Excellence. «La tragedia di questa pandemia sono i dati – ha detto l’esperta – raccolti in maniera disomogenea e spesso strumentale. Anche l’ipotesi che il virus provenga da un laboratorio ha motivi strumentali. Quello che noi possiamo dire è che questo virus è di origine animale, viene dai pipistrelli che sono stati a lungo pericolosi incubatori di malattie per l’uomo».
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«Se poi un laboratorio, in questo caso quello di Wuhan, ha giocato su un virus di origine animale lo scopriremo collezionandone le sequenze, che sono il suo Dna». Per la professoressa Capua la Cina ha dovuto affrontare una situazione molto complessa, in quanto l’infezione da Sars-CoV-2 ha iniziato la sua corsa in una megalopoli, al centro di un evento come il Capodanno lunare che riunisce straordinariamente moltissime persone in atteggiamenti di promiscuità.
Tutto è partito da un pipistrello venuto a contatto con animali vivi in un mercato come quello di Wuhan in cui molte specie vengono tenute in gabbia vicine e in condizioni igieniche precarie. Il pangolino ha fatto poi da tramite per la trasmissione all’uomo: «Un animale che dovrebbe vivere nelle foreste, invece in Cina viene catturato e le scaglie usate per la medicina tradizionale».
Gli animali dovranno essere tenuti sotto controllo anche adesso che la malattia sembra non renderli infettivi. «I coronavirus contagiano molte specie diverse e diventano endemici – specifica Capua –. Noi siamo solo una delle tante specie in cui il Covid-19 sta facendo il suo corso. Abbiamo notato che una serie di animali, gatti maiali, furetti, hanno un recettore molto permissivo al virus. Potrebbero diventare un pericolo in futuro diventando una fonte di infezione, e dovremmo trovare ogni modo per limitare la panzoozia».
L’importante è non minimizzare, chiede la virologa, specie adesso che i numeri stanno cominciando a calare e alcuni incautamente sostengono che la malattia stia perdendo di potenza. «Un’affermazione pericolosa e sbagliata, non bisogna dare certezze anche perché finora sono state smontate tutte», concorda il direttore scientifico dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito.
«Anche l’Hiv dopo la prima ondata è passato a fare meno morti, ma questo non significa che si è attenuato geneticamente. Per il Covid-19 sappiamo che la percentuale dei genomi ai fini diagnostici è sostanzialmente conservata, perciò il virus non mostra mutazioni significative, ce ne sono meno di 10 comuni». Un virus che muta poco assicura una maggiore utilità del vaccino. Per Ippolito il vero segreto per conoscere questo virus è isolarne le sequenze: più se ne isoleranno maggiore sarà la nostra conoscenza.
«Sequenziare i genomi è una necessità – ribadisce –, più li guardiamo con aree geografiche e temporali meglio potremo tracciare le modalità di diffusione e aggressività. In Italia non ci sono nemmeno 20 sequenze registrate, se si pensa che in Olanda sono oltre mille si capisce la differenza».
«Parlare di virus attenuato incoraggia atteggiamenti irresponsabili, bisogna essere cauti». Alberto Mantovani, IRCCS Istituto clinico Humanitas, parla di un patogeno di cui sappiamo ancora molto poco. Anche sulle indagini sierologiche, sono più di 100 i test in circolazione, bisogna fare attenzione a non diffondere troppa sicurezza nei soggetti testati. «Non siamo in grado di consegnare patenti di immunità a nessuno – Mantovani parla chiaramente –. Anche se con forti dosi di anticorpi non possiamo assicurare che non ci si ammalerà. Possiamo valutare che la memoria immunologica, basandoci sul virus Sars, possa durare due o tre anni ma non abbiamo certezze».
L’attesa del vaccino rimane l’unica veramente risolutiva per la pandemia che ha cambiato radicalmente il mondo intero. Il dottor Rino Rappuoli, di Gsk Vaccines, parla di tecnologia promettente e dà come tempistiche «da un minimo di 12 a un massimo di 18 mesi».
«Ad oggi 170 gruppi nel mondo stanno sviluppando un vaccino per il Covid-19 – chiarisce –. Di questi meno di 20 arriveranno alla fase di sperimentazione clinica e un massimo di 4 alla lunga e costosa fase di produzione». In generale i vaccini fatti di proteine ricombinanti e adiuvanti sono gli unici ad oggi che renderebbero possibile la produzione su larga scala richiesta dal Covid-19. Nel mentre anche la terapia con il plasma sta dando risultati interessanti.
«Gli anticorpi monoclonali umani sono promettenti – afferma –, per l’ebola l’unico farmaco funzionante era basato proprio su quelli. Dallo Spallanzani ci arriva il sangue dei convalescenti da cui stiamo isolando gli anticorpi per creare un farmaco che possa curare chi è stato appena contagiato o per trattare i medici in prima linea ed evitare che si contagino».
I tempi che ci attendono non si profilano semplici, ammettono gli esperti, ma potrebbe trattarsi della giusta occasione per una rinascita del Sistema sanitario nazionale. Ne ha parlato, fornendo gli elementi fondamentali per la fase 2, il dottor Walter Ricciardi dell’università Cattolica del Sacro Cuore.
«Dato che Covid-19 perdurerà nel tempo e riguarderà tutti i Paesi del mondo, sarà necessaria una risposta globale – stabilisce l’esperto –. Non sappiamo cosa succederà ad ottobre ma probabilmente Covid-19 tornerà. Dovremo farci trovare pronti con alcuni elementi essenziali: dei leader politici e sanitari che continuino a dire la verità, una governance che crei una catena unica di comando e un buon management, ovvero persone capaci di gestire i diversi processi».
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