Il ritratto degli stili di vita degli uomini nella ricerca Ipsos: chi studia fa più sesso, più sport e mangia meglio. Pagnoncelli: «L’attenzione alla salute è molto elevata a livello di intenzioni, ma molto spesso è accompagnata da comportamenti non coerenti»
Il 37% degli uomini italiani non va dal medico per scaramanzia. «Quando si sta bene non si ha voglia di pensare alle cose brutte che potrebbero capitare», hanno dichiarato nell’ambito dello studio Ipsos commissionato dalla Fondazione Pro in occasione della Giornata internazionale dell’uomo. Non poteva che partire da Napoli, allora, il messaggio sull’importanza della prevenzione. E non poteva che essere un cornetto rovesciato che evoca inequivocabilmente un’erezione, il simbolo del primo AndroDay italiano.
Uomini e prevenzione, insomma, viaggiano su binari separati. In fondo, basterebbe imitare le donne, 30 volte più attente a prevenzione e stili di vita rispetto ai maschi. L’esortazione ad andare dal medico prima della comparsa di sintomi e malattie proviene quindi da urologi, andrologi e psicologi. E anche dal presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, intervenuto tra gli applausi alla sessione del convegno dedicata all’attività fisica.
Prevenzione, però, non è solo visite mediche. È anche stile di vita. I risultati dello studio Ipsos, presentati dal presidente dell’istituto di statistica Nando Pagnoncelli, accendono quindi i riflettori sui comportamenti degli uomini nei campi dell’alimentazione, dell’attività fisica, del lavoro e della sessualità. Emerge allora che i laureati e i lavoratori fanno più sesso di diplomati e disoccupati; che il 26% degli uomini, soprattutto del Nord, laureati e di età compresa tra i 55 e i 70 anni, è molto attento all’alimentazione, mentre il 58% del campione non lo è sempre (soprattutto del Sud, diplomati e di età compresa tra i 25 e i 34 anni), a cui si aggiungono i giovanissimi tra i 16 e i 24 anni, non attratti da verdura, frutta e pesce, a cui preferiscono carne, snack e fast food; risulta, infine, che un italiano su due non pratica attività sportiva e, tra chi la fa, il 26% vi si dedica meno di tre volte a settimana. Anche in quest’ultimo caso, fa più sport chi abita al Nord e chi ha un titolo di studio più alto.
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«Quello che emerge – tira le somme Pagnoncelli ai nostri microfoni – è un comportamento poco coerente: magari si fa sport e si sta attenti all’alimentazione, ma poi si continua a fumare. L’attenzione degli uomini alla salute è molto elevata a livello di intenzioni e di dichiarazioni, ma molto spesso non è accompagnata da comportamenti che vadano nella stessa direzione».
«È quindi importante – prosegue Pagnoncelli – una costante educazione del cittadino, che magari spesso subisce il fascino di correnti di pensiero esoteriche per le quali, ad esempio, alcuni alimenti fanno male. In Italia il consumo di prodotti senza glutine, per dirne una, è molto superiore al fabbisogno delle persone celiache. Insomma, non bisogna mai abbassare la guardia e cercare la convergenza di diverse agenzie educative, che vadano al di là della scuola: è sulla popolazione adulta che dobbiamo agire, perché cambi le proprie abitudini e possa vivere in modo più salubre».
Va proprio in questa direzione il lavoro che la Fondazione Pro sta svolgendo: «Negli ultimi 6 anni – ha spiegato Vincenzo Mirone, presidente della Fondazione Pro – abbiamo imparato che all’uomo non piace essere spaventato sul carcinoma alla prostata o al testicolo. Abbiamo quindi provato ad accerchiarlo cercando spunti che gli piacciano, come lo sport, la dieta o la sessualità. La strada è lunga e complessa, ma sembra che qualcosa si stia muovendo, che l’atteggiamento degli uomini nei confronti della prevenzione stia cambiando».
Un cambiamento necessario non solo per garantire ai pazienti una migliore qualità della vita ma, cinicamente, anche per assicurare alle casse del Sistema Sanitario Nazionale un risparmio non indifferente: «I politici – aggiunge il professor Mirone – devono capire che fare prevenzione permette risparmi straordinari. Un conto è un intervento quando il cancro alla prostata, ad esempio, è nelle fasi iniziali; un conto – conclude – è intervenire quando la malattia è avanzata o metastatica: quel paziente costerà alle nostre strutture sanitarie pubbliche 100 volte di più».