Annamaria Cattelan primario di malattie infettive dell’ospedale della città veneta che, con Treviso e Verona detiene il primato di pazienti trattati con i monoclonali, smentisce che Sotromivab sia meno efficace sulla nuova variante di Omicron e guarda al futuro presentando Evuscheld, la nuova combinazione che blocca l’insorgere della malattia
Ad un anno dall’inizio della somministrazione di anticorpi monoclonali per combattere precocemente il Covid, il Veneto si conferma la prima Regione d’Italia con oltre 8700 pazienti trattati a fronte di un totale di 51 mila su scala nazionale e in particolare è Padova a distinguersi, con Verona e Treviso, per numero di somministrazioni, ma anche come centro all’avanguardia per le nuove terapie. Infatti, l’azienda ospedaliera di Padova è pronta a somministrare un nuovo mix di due anticorpi monoclonali nei casi di malattia non ancora conclamata.
La conferma arriva da Annamaria Cattelan, primario di malattie infettive dell’Azienda Ospedaliera di Padova. «Noi stiamo utilizzando gli anticorpi monoclonali da un anno con ottimi risultati ed ora abbiamo la possibilità di utilizzare una nuova combinazione che previene lo sviluppo della malattia».
Sul mercato con il nome commerciale di Evuscheld, è la combinazione di due anticorpi monoclonali: Tixagevimab e Cilgavimab, mirati contro la proteina spike del Sars-CoV-2 e utilizzati insieme per prevenire Covid-19. A realizzare questo nuovo farmaco è la multinazionale farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca.
«Si tratta di una novità – spiega Cattelan – perché permette di trattare i pazienti cosiddetti a rischio prima ancora della comparsa di sintomi riconducibili al Covid-19. Può essere utilizzato come profilassi pre-esposizione negli adulti e negli adolescenti di età pari e superiori a 12 anni che abbiamo un peso corporeo di almeno 40 chilogrammi purché privi di anticorpi contro il virus (non vaccinati o resistenti al vaccino) e con specifici fattori di rischio: soggetti che abbiamo avuto un trapianto di polmone o altro organo solido negli ultimi dodici mesi, pazienti trattati con le Car T, o che abbiano assunto nell’anno precedente una terapia a base di rituximab che genera una deflazione di linfociti B; e ancora pazienti con infezione da HIV o con altre gravi compromissioni immunologiche».
La somministrazione di questo farmaco avviene con due iniezioni da realizzarsi sulla natica destra e sinistra e la copertura secondo lo studio internazionale fatto da Provent su 5000 soggetti è compresa tra i quattro e i sei mesi. «Questo nuovo cocktail di anticorpi monoclonali garantisce una significativa riduzione della possibilità di ammalarsi in maniera sintomatica che si aggira intorno all’80% – puntualizza il primario di malattie infettive dell’ospedale di Padova –. Dopodiché probabilmente ci saranno altre novità perché la ricerca va avanti».
Era la fine di marzo del 2021 quando in Italia gli anticorpi monoclonali hanno fatto la prima comparsa per trattare pazienti affetti da Covid in una fase iniziale della malattia. «Secondo i criteri Aifa possono essere somministrati a pazienti con un’età superiore a 65 anni oppure in presenza di fattori di rischio come malattie broncopneumopatie, cardiache, diabete scompensato, immunodeficienze congenite piuttosto che acquisite, Hiv, pazienti trapiantati, con patologia oncoematologica, o ancora obesi con indice di massa corporea superiore o uguale a 30.
Abbiamo iniziato utilizzando prima Etesevimab da solo, poi in combinazione con Bamlanivimab. Successivamente per combattere la variante Delta abbiamo utilizzato Casirivimab con Imdevimab fino a dicembre 2021 e da gennaio con Omicron l’unico anticorpo monoclonale attivo ed efficace è Sotromivab che viene somministrato in endovena con una inoculazione che dura circa trenta minuti e poi richiede un monitoraggio del paziente per circa un’ora». Nessuna resistenza dell’ultima variante di Omicron a questo anticorpo monoclonale, Annamaria Cattelan garantisce che è ancora il più efficace e aggiunge: «I dati degli studi clinici mostrano che questa terapia funziona se viene fatta molto precocemente, entro 3/5 giorni dalla comparsa dei sintomi e la copertura dura in media dai quattro ai sei mesi».
Nessun effetto collaterale rilevante (solo nel 2% dei casi si manifesta qualche linea di febbre o eruzione cutanea) e costi contenuti (non superiori a 500 euro), eppure non tutte le regioni ne fanno uso. «Le motivazioni vanno ricercate nella gestione complessa della filiera, dal trattamento al monitoraggio del paziente nei trenta giorni successivi – ammette Cattelan -. Il candidato alla somministrazione del farmaco deve essere identificato dai medici di medicina generale o dal Pronto Soccorso o ancora con una autocandidatura. Dopodiché il soggetto deve essere valutato e ritenuto idoneo per ricevere la dose di anticorpi monoclonali; quindi, viene compilata la scheda Aifa che deve essere chiusa a trenta giorni dalla somministrazione».
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