«Bisogna modificare l’organizzazione del lavoro in sanità avvalendosi delle competenze di queste professioni che adesso sono autonome e responsabili permettendogli di fare prestazione sempre più efficienti e tempestive per i cittadini», sottolinea l’ex dirigente del Ministero della Salute che aggiunge: «C’è la necessità di costruire spazi dirigenziali per le professioni diverse dagli infermieri, ma leggi ci sono»
«Mettere insieme 19 professioni sanitarie è stato meno difficile di quanto avrei pensato. Con le commissioni d’Albo ogni professione si autogestisce nel gran condominio dell’Ordine: io l’ho sempre chiamato la ‘confederazione elvetica’ dove la Commissione d’albo è il governo del cantone. “Unità nella diversità” si diceva una volta». Francesco Saverio Proia, già dirigente del Ministero della Salute e consulente Aran, è stato uno dei ‘padri’ del percorso che ha portato le professioni sanitarie a confluire nell’ordine multialbo TSRM e PSTRP. Un percorso lungo, partito dall’individuazione dei profili, passato per la legge 42 del 1999 e conclusosi con la legge 3 del 2018 che ha istituito Albi e Ordine: «L’unica soluzione possibile – racconta Proia a Sanità Informazione – ci parve quella di aggregare l’Ordine dei Tecnici di Radiologia medica alle altre professioni approfittando della generosità dei tecnici di radiologia che hanno perso la loro soggettività ordinistica e li hanno accolti tutti. Senza questa soluzione non ci sarebbe stata possibilità». Ora secondo Proia è tempo di guardare avanti e raccogliere le sfide per il futuro: «Bisogna modificare l’organizzazione del lavoro in sanità, come già in molte aziende sanitarie si fa, avvalendosi delle competenze di queste professioni che adesso sono autonome e responsabili, quindi ampliando, incrementando e specializzando queste professioni permettendogli di fare prestazione sempre più efficienti e tempestive per i cittadini». La speranza è quella di vedere sempre più professionisti sanitari in incarichi dirigenziali: «Tutte le leggi regionali lo prevedono, quindi si tratta da passare alla previsione all’attuazione concreta».
Dottor Proia, lei ha seguito una buona parte dell’iter normativo che ha portato poi all’approvazione della legge Lorenzin istitutiva dell’Ordine. Qual è ora il prossimo passo per le professioni sanitarie?
«Il prossimo passo dopo una marcia durata decenni è quello di mettere a frutto i risultati ottenuti. Prima c’è stata la legge 42, poi la 251 del 2000, poi la 43 del 2006 e infine la Lorenzin sugli Ordini. La riforma delle professioni sanitarie si è completata. Ora bisogna da una parte modificare l’organizzazione del lavoro in sanità, come già in molte aziende sanitarie si fa, avvalendosi delle competenze di queste professioni che adesso sono autonome e responsabili, quindi ampliando, incrementando e specializzando queste professioni, permettendogli di fare prestazione sempre più efficienti e tempestive per i cittadini. Cittadini che ormai, per il mutato quadro epidemiologico e demografico, sono in prevalenza soggetti con polipatologie, malati cronici ultrasessantenni che hanno bisogno di una risposta nuova soprattutto sul territorio. Queste professioni sono in grado di poter dare delle prestazioni andando a domicilio, nelle Case della salute, evitando il ricorso all’ospedalizzazione impropria avvenuto in questi anni. D’altra parte c’è la necessità di costituire questo meraviglioso Ordine plurialbo che abbiamo realizzato, dove finalmente le professioni, che erano già regolamentate, hanno avuto la possibilità di avere un albo. Adesso ce l’hanno, le iscrizioni sono quasi completate, nessun ordine ha avuto una risposta così. Quindi con le commissioni d’Albo ogni professione si autogestisce nel gran condominio che è questo grande Ordine: io l’ho sempre chiamato la confederazione elvetica dove la commissione d’albo è il governo del cantone, “unità nella diversità” si diceva una volta».
Molti hanno parlato di una rivoluzione culturale, ma ancora non tutti i professionisti forse hanno capito l’importanza di questo cambiamento…
«In Italia i cambiamenti sulla carta sono immediati, sui fatti concreti ancora no. Con le nuove norme si fa fatica ad ambientarsi. Io sono positivo, nel senso che ho visto molta rispondenza da parte dei professionisti interessati, ho visto molte aziende sanitarie che hanno colto l’occasione di questa innovazione, come è vero che più di metà Italia non usa a pieno questo potenziale. In Italia qualsiasi modifica che sembra una razionalizzazione diventa un atto rivoluzionario. È duro a cambiare il vecchio modo di essere».
Presto vedremo sempre più dirigenti sanitari provenienti dal mondo delle professioni sanitarie?
«Già ce ne sono molti. L’altro anno erano 600. Nel frattempo sono stati banditi dei concorsi quindi aumenteranno. È vero che la maggioranza di essi sono infermieri. C’è la necessità di costruire spazi dirigenziali per le professioni diverse dagli infermieri. È più facile costruire incarichi dirigenziali per gli infermieri che da soli sono due terzi del personale. Però come la legge 251 ha disposto, per ogni area, che sono quattro più quella degli assistenti sociali, va previsto uno specifico dirigente. Il dirigente della riabilitazione, della prevenzione, dei tecnici sanitari e del servizio sociale professionale. Questa è la fase più difficile. Però tutte le leggi regionali lo prevedono, quindi si tratta da passare alla previsione all’attuazione concreta. Però se si legge per esempio il bollettino sociale della regione Lazio i concorsi sono stati indetti, si stanno svolgendo le prove per tecnici sanitari, i fisioterapisti, ecc.».
È stato difficile mettere insieme 19 professioni sanitarie?
«Meno difficile di quanto avrei pensato. Il primo disegno di legge fu quello della legge 42: avevamo previsto la costituzione di specifici ordini per ogni professione ma poi abbiamo avuto attacchi da chi non voleva gli ordini. L’unica soluzione possibile ci parve quella di aggregare l’Ordine dei Tecnici di Radiologia medica alle altre professioni approfittando della generosità dei tecnici di radiologia che hanno perso la loro soggettività ordinistica e li hanno accolti tutti. Senza questa soluzione non ci sarebbe stata possibilità. Non ha avuto contraccolpi. È anche vero che c’è la possibilità per l’albo che supera i 50mila iscritti di diventare un Ordine a parte».