Il protocollo italiano, messo a punto dalla neuroscienziata Arianna Di Stadio, per recupare il gusto e l’olfatto persi a causa del Long Covid viene esportato all’estero. Precisamente negli Stati Uniti, in Spagna e in Germania
Un nuovo trattamento contro il Long Covid, per recuperare memoria, gusto e olfatto, persi da donne e uomini di tutto il mondo che in questi ultimi due anni hanno contratto il virus. Si tratta del protocollo «Di Stadio», dal nome della scienziata italiana che lo ha inventato, una terapia che combina la riabilitazione olfattiva con una molecola anti-neuroinfiammazione, PEA-LUT , in grado di agire sul controllo delle alterazioni del sistema nervoso centrale. Il trattamento, sperimentato, è ormai diffuso negli ospedali italiani e ora viene esportato anche all’estero: Stati Uniti, Spagna e Germania.
Il trattamento contro il Long Covid consente di tornare a sentire odori e sapori, con un recupero delle funzioni olfattive nel 92 per cento dei casi (miglioramento) e un ritorno al normale olfatto in oltre il 50 per cento dei casi, come spiegato nella pubblicazione su Current Neuropharmacology. In un altro studio in corso di revisione su Cells, è stato dimostrato che l’utilizzo del PEA-LUT associato con la riabilitazione olfattiva è in grado di migliorare la così detta «brain fog» in più del 50 per cento dei pazienti; inoltre anche il solo utilizzo della molecola era in grado di far migliorare la brain fog, cosa assolutamente non osservata con la sola riabilitazione olfattiva.
«La prevalenza complessiva della disfunzione olfattiva nei pazienti con Covid-19 – spiega Arianna Di Stadio, docente di Otorinolaringoiatria all’Università di Catania e ricercatore onorario per il Dipartimento Neuroscienze Queen Square Neurology UCL di Londra – è stata del 47,85 per cento. Nel 54,4 per cento dei pazienti europei, nel 51,11 per cento dei nordamericani, nel 31,39 per cento degli asiatici, nel 10,71 per cento degli australiani. In sintesi ben il 65 per cento degli individui guariti dal Covid 19 sperimenta una disfunzione olfattiva di qualche forma 18 mesi dopo. Data la quantità di tempo trascorso dall’iniziale insulto al sistema olfattivo, il rischio è che questi problemi olfattivi, se non adeguatamente trattati, siano permanenti».
Da qui la messa a punto del protocollo, una sorta di fisioterapia «nasale», la riabilitazione olfattiva, associata alla somministrazione di un alimento a fini medici speciali a base di PEA-Lut. «Abbiamo combinato la riabilitazione olfattiva con la molecola anti-neuro-infiammazione PEALut», spiega l’esperta. «L’utilizzo di questa molecola – dice DI Stadio – era basato sul concetto che la perdita dell’olfatto fosse causata da una neuroinfiammazione centrale causata appunto dall’infezione da Covid-19. Poiché la neuroinfiammazione non permette la normale trasmissione del segnale nel cervello, i pazienti affetti da anosmia post Covid non sono in grado di percepire gli odori a livello centrale, ma la porzione periferica dell’apparato olfattivo – il neuroepitelio che si trova nel naso – va generalmente incontro a un’infiammazione transitoria che sparisce in poco tempo, restituendo a questa struttura il suo normale funzionamento. I recettori degli odori a livello del naso però si saturano dopo pochi secondi di esposizione agli odori, impedendo così di sentire l’odore».
«La riabilitazione olfattiva tradizionale esponeva il paziente per un tempo troppo lungo a odori troppo intensi, tanto più considerando che il naso funzionava mentre era il cervello a non sentire», dice Di Stadio. «Tale modalità poteva aumentare il rischio di incappare in danni del neuroepitelio con conseguenti problematiche olfattive (ad esempio la parosmia). Nel protocollo, invece, i pazienti – continua – sono stati esposti agli odori per pochi secondi, con pause più lunghe tra lo sniffing dei vari elementi usati per la riabilitazione. Inoltre, abbiamo usato oli essenziali 100 per cento organici che non venivano odorati direttamente dalla boccetta ma preparati in modo tale da non danneggiare i recettori nel naso».
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