Le donne giovani sono le più colpite, ma si teme per il personale sanitario. Giorgio Di Lorenzo, professore associato di Psichiatria presso l’Università di Tor Vergata e tra gli autori di uno studio sulle conseguenze dell’isolamento: «Aumenteranno i suicidi. Urge modello assistenziale che metta la salute psichica al centro, ora non siamo pronti»
Disturbi post-traumatici da stress, depressione e insonnia cronica: sono gli effetti che la quarantena sta avendo sugli italiani chiusi in casa. A raccontarlo è uno studio nato da una collaborazione tra l’Università di Tor Vergata e quella dell’Aquila, pubblicato su MedArXive, che fornisce una fotografia dell’Italia a un mese dall’inizio delle misure contro la pandemia da Covid-19.
L’indagine ha coinvolto oltre 18mila partecipanti sparsi in tutto il Paese, per la maggior parte donne (79,9%). Servendosi di un questionario online, diffuso tra il 27 marzo e il 6 aprile, ha indagato nei soggetti: livello di istruzione, status lavorativo, condizioni di salute e prossimità con una persona ricoverata o deceduta per il virus, mettendo i dati a confronto con i disturbi avvertiti. Sui risultati hanno pesato molto le condizioni estreme a cui mentalmente è sottoposto il personale sanitario. Sanità Informazione ne ha parlato con uno degli autori, Giorgio Di Lorenzo, professore associato di Psichiatria nel dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università di Tor Vergata.
«Quella che stiamo vivendo è paragonabile ad una situazione di guerra – racconta Di Lorenzo – e i dati che riceviamo disegnano questo scenario». Il 37% degli intervistati accusa infatti disturbi post-traumatici da stress, il 22,9% disturbi dell’adattamento, a seguire i più diffusi sono stress elevato (22,9%) e ansia (20,8%), il 17,3% manifesta depressione e il 7,3% insonnia. «Di solito quando si fanno campagne come questa – specifica il professore – la popolazione che accusa PTSD non supera il 3-4%; oggi la percentuale che rileviamo oscilla tra le 4 e le 5 volte in più. Sono risultati che immaginavamo, ma che nero su bianco ci hanno preoccupati».
Durante l’indagine sono risultate le donne ad essere più esposte alle psicopatologie, nello specifico le più giovani. Le casalinghe risultano le più colpite in assoluto. «Sono due i fattori con cui possiamo motivare questo risultato – spiega l’autore –. Il primo è di tipo biologico: stiamo studiando disturbi trauma e stress-correlati e il disturbo depressivo maggiore, che mostrano una maggiore rappresentazione nelle donne. Il secondo è legato strettamente a condizioni relative al Covid-19: le donne rivestono un ruolo chiave all’interno delle famiglie e ne mantengono l’equilibrio, sono quindi l’elemento che soffre di più la paura del contagio per sé e i propri cari».
Per ognuno che resta in casa ad attendere, c’è qualcuno in ospedale che sfida ogni giorno la malattia: il personale sanitario, che oltre alle preoccupazioni personali, veicola carichi emozionali intensi che vengono dai pazienti. «Al momento – delinea il professore – insieme ai pazienti, sono quelli che soffrono maggiormente i disturbi trauma-correlati. Un risultato che ci accomuna con gli studi svolti in Cina. Bisogna pensare che le persone ricoverate non hanno modo di rivedere i loro parenti e affidano a chi li cura gli ultimi saluti. Quegli elementi intimi sono un carico enorme».
Molti di loro mostrano già dei sintomi evidenti, come l’insonnia e un’ansia generalizzata legata all’ambiente di lavoro, e sono i più a rischio per lo sviluppo di un disturbo. «Qui al Policlinico di Tor Vergata ne trattiamo già alcuni – prosegue Di Lorenzo –. Facciamo dai 2 ai 3 incontri a settimana e per noi i loro quadri sintomatici sono chiari. Ora è presto per dirlo, ma la chiave sarà non lasciare solo nessuno quando il peggio sarà finito».
I morti da Covid-19 hanno intanto toccato soglia 23.660, quasi 500 al giorno nell’ultima settimana. «La popolazione anziana è la più colpita da questo virus – continua l’autore dello studio – e sono le modalità di queste morti a renderle tragiche. Solitudine, assenza di un supporto emotivo, questa gravità non era prevista». Una cicatrice che pesa che su chi resta. «Una cicatrice che potrebbe, secondo la nostra survey, segnare profondamente una generazione: quella tra i 30 e i 50 anni che immagazzina il dolore delle perdite e l’ansia del futuro». Gli effetti a lungo termine non possono essere previsti, ma «se accadrà quello che è accaduto nelle precedenti crisi, noteremo un aumento nell’indice dei suicidi, già ora i valori sono leggermente più alti».
Il professor Di Lorenzo parla anche di un prossimo studio in cui si analizzeranno le interazioni tra i vari dati riscontrati. In generale i soggetti con un livello di educazione inferiore risultano più a rischio di sviluppare disturbi mentali dalla situazione attuale, così come il sud Italia sembra più esposto ai disturbi post-traumatici rispetto al Nord, che soffre maggiormente l’ansia depressiva. «Penso che molti siano fattori collegati ai modi di vivere, ma sarei cauto sulle conclusioni – chiarisce l’esperto –. Al Sud c’è più rischio perché si ha un impatto maggiore dal non lavorare».
Tra i lavoratori, chi annota di essere sottoposto a uno sforzo maggiore in questo periodo (tra cui la componente medica) mostra una tendenza ai disturbi da stress e a quelli di adattamento. Mentre chi dichiara di lavorare “in maniera discontinua” tende maggiormente a insonnia e depressione.
«Quel che bisogna fare adesso è implementare un modello assistenziale che sappia porre al centro la qualità della salute psichica – è l’appello del professor Di Lorenzo –, mettere in atto un approccio dinamico nell’indirizzare a strategie terapeutiche rapide e fruibili da tutti, che possano rispondere a migliaia di pazienti che richiederanno supporto». Ora come ora «a livello territoriale non siamo pronti a supportare la mole di lavoro che ci sarà richiesta, per via del fatto che le strutture sanitarie territoriali vertono su un’organizzazione che guarda alla cura di disturbi che tendono a cronicizzarsi, dello spettro psicotico».
Non saper rispondere a questa crisi nella crisi significherebbe mettere in difficoltà gli ospedali, che si troverebbero poi ad accogliere i casi che, se non trattati, si acutizzeranno, avverte Di Lorenzo. «Noi abbiamo ancora tutti i pazienti precedenti, nelle chiamate che abbiamo ricevuto in questi giorni il 30% erano gravi e sono state ospitalizzate, cosa succederà dopo quando la gente potrà uscire di più? È necessario guardare a un anno almeno, specie se ci sarà una crisi economica».
Per ora, mentre prosegue il lockdown italiano, quando si avverte l’insorgenza di sintomi corredati a psicopatologie ci si deve rivolgere agli specialisti. «Esistono tantissimi servizi coordinati dalle associazioni di psichiatri e psicologi, con numeri a cui le persone possono telefonare – conclude Di Lorenzo –. Le soluzioni sono di facile accesso e si può essere supportati anche 24 ore su 24 con strumenti che accorciano le distanze. All’Italia che chiede aiuto, rispondiamo».