Lo studio dell’Ospedale Bambino Gesù: «Raddoppiati i casi rispetto al 2019. Impatto su crescita in altezza e sviluppo tumori»
Diventare grandi sempre prima. Vivere un’infanzia sempre più breve, sentirsi ancora bambini mentre il corpo inizia a dire altro. Con un segnale, tra tutti inconfondibile, per le femminucce: la comparsa del bottone mammario, segno che nel giro di un paio d’anni al massimo arriverà il primo ciclo mestruale. Nel caso in cui questo segno compaia prima degli otto anni si parla di pubertà precoce, che viene classificata come patologia, mentre se compare tra gli otto e nove anni si parla di pubertà anticipata.
Un fenomeno che riguarda in misura maggiore le bambine rispetto ai bambini, e che, in concomitanza con il primo lockdown, sarebbe cresciuto in modo sospetto, addirittura raddoppiando, tanto da spingere il prof. Marco Cappa, responsabile dell’UOC di Endocrinologia presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, a condurre uno studio osservazionale sulla questione. Sono stati coinvolti i colleghi di Endocrinologia pediatrica dell’Ospedale Gaslini di Genova, del Policlinico Federico II di Napoli, dell’Ospedale Pediatrico Microcitemico di Cagliari e della Clinica Pediatrica Ospedale di Perugia. In totale, nel periodo marzo – settembre 2020 sono stati rilevati 338 casi contro i 152 dell’anno precedente, con un aumento pari al 122%. Il fenomeno ha interessato soprattutto bambine di età intorno ai 7 anni. Lo studio, pubblicato da Endocrine Connections, conferma i numeri della precedente ricerca del Reparto di Endocrinologia del Bambino Gesù. Sulle cause e sulle possibili implicazioni cliniche, Sanità Informazione ha intervistato il prof. Marco Cappa, coordinatore dello studio in questione.
«Nel periodo marzo-settembre 2020 ci siamo ritrovati l’ambulatorio con un numero anomalo di casi di pubertà anticipata o precoce, il doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – afferma Cappa – così abbiamo chiesto ai nostri colleghi in varie città d’Italia se avessero osservato la stessa cosa. E ci hanno detto di sì. Abbiamo quindi deciso di mettere a sistema questi dati, proponendo dei questionari alle bambine nostre pazienti che avevano iniziato la pubertà nel 2019 e nel 2020 per rilevare una serie di parametri. Quali? Le ore di attività fisica – spiega – le ore trascorse davanti a device come computer o smartphone e tablet, sia per esigenze di studio (DAD) sia ludiche, e le abitudini alimentari».
«Effettivamente – ammette il primario – quanto emerso ha sorpreso anche me. Ero convinto che l’aumento dei casi di pubertà precoci fosse legato ad un aumento medio del peso corporeo delle bambine come effetto del lockdown. E invece questo aumento di peso proprio non c’è stato – osserva – di conseguenza non è a questo fattore che può ascriversi il dato. Le ore di permanenza davanti ai device sono invece, come era prevedibile, nettamente aumentate a fronte di un crollo verticale del tempo dedicato all’attività fisica».
«La sedentarietà determina una riduzione del meccanismo neuroendocrino dell’esercizio fisico – spiega Cappa -. I neurormoni si attivano con l’esercizio fisico, e determinano una inibizione nella partenza della pubertà. Lo vediamo nelle atlete: nelle ragazzine che praticano attività sportiva a livello agonistico lo sviluppo avviene tardi, viceversa le bambine sedentarie sviluppano prima. In sintesi l’attività fisica ha un ruolo importante nell’attivazione o meno della pubertà. Sicuramente – aggiunge – lo stress della DAD potrebbe essere una concausa associata alla sedentarietà».
«In letteratura, in base ai dati che abbiamo, non sono presenti implicazioni sulla fertilità in caso di pubertà precoce o anticipata. Se la pubertà è molto precoce, vale a dire se il bottone mammario compare intorno ai 6 anni e mezzo, la statura definitiva da adulte sarà inferiore al normale – spiega Cappa – mentre in caso di semplice pubertà anticipata la statura definitiva sarà nella norma. Inoltre, sottolinea l’endocrinologo – le bambine che hanno una esposizione prolungata agli estrogeni, a causa di una pubertà precoce, potranno da adulte avere una maggiore incidenza di tumori ormonosensibili, come il cancro della mammella, soprattutto – conclude – se in associazione con altri fattori genetici».
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