Aumenta le endorfine e abbassa il cortisolo. Ma le aspettative troppo alte e una mancata predisposizione potrebbero vanificare i vantaggi
Il viaggio è nella testa. Una frase fatta? Non proprio. Se da sempre per l’essere umano spostarsi, per dovere o per diletto, rappresenta una pietra miliare dell’esistenza, crocevia di emozioni, sfide e rinunce, il viaggio dei tempi moderni può essere invece una panacea per molti mali e sortire innumerevoli benefici a livello psicofisico purché venga affrontato con la giusta predisposizione d’animo . Ne abbiamo parlato con la dottoressa Francesca Andronico, psicologa del Viaggio, del Turismo e della Mobilità, autrice del libro Esperienze di Viaggio.
«Alcune persone hanno una predisposizione particolare nei confronti del viaggiare – spiega Andronico – che diventa un atto connaturato alla loro identità e personalità. Si tratta di persone con una spiccata intelligenza sociale ed emotiva. Ci sono poi persone meno inclini al viaggio ma che hanno necessità di viaggiare per determinati motivi. È qui che distinguiamo il viaggiatore dal turista: se il primo ha bisogno di esplorare e conoscere nuovi posti, il secondo ha bisogno semplicemente di spostarsi per staccare la spina dalla quotidianità o per socializzare».
«La scelta di un tipo di un viaggio, o vacanza, viene quindi condizionata da molteplici fattori – prosegue la psicologa – che influiscono anche sugli effetti del viaggio relativamente a chi lo compie. Veniamo agli effetti benefici, che scaturiscono tutti da un principio fondamentale: spostarsi, cambiare ambiente, uscire da una quotidianità che è fonte di stress, elimina le cause di quest’ultimo e e lo riduce fortemente (nel viaggiatore ben disposto). L’abbassamento dei livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) incide positivamente su una serie di fattori quali la circolazione sanguigna, la pressione arteriosa e i livelli di glicemia. Da qui la consapevolezza che a una serie di benefici sul piano psichico si accompagnano benefici sul piano fisico».
«Gli effetti positivi del viaggiare – sottolinea l’esperta – partono già dal momento della programmazione o della prenotazione del viaggio, secondo quello che in psicologia è noto come effetto anticipatorio della ricompensa: proiettarsi in un momento futuro positivo determina già un rilascio di endorfine, i neurotrasmettitori del benessere e un contestuale abbassamento dello stress. Viceversa, è interessante riflettere sul tempo successivo al viaggio (quindi il rientro) in cui i benefici continuano a sortire i loro effetti. Ed è qui che entra in gioco il tema delle aspettative…»
«Spesso si parte per un viaggio con aspettative molto alte che possono essere deluse da una serie di circostanze – precisa Andronico – ma anche al contrario si può restare entusiasti della particolare buona riuscita di un viaggio. Le aspettative deluse vanificano sicuramente l’effetto positivo, sia durante il viaggio che in seguito, ed è il motivo per cui è importante la predisposizione d’animo al viaggio, che si traduce in primis in organizzazione, flessibilità e spirito di adattamento (la prima per ridurre il rischio di impreviste, le seconde per gestirli, eventualmente, nel migliore dei modi o semplicemente “passarci sopra”). Se invece il beneficio apportato dal viaggio è stato altissimo – aggiunge – addirittura superiore alle aspettative, può subentrare la classica sindrome da rientro, che determina un momento di down e di forte difficoltà a riadattarsi alla routine quotidiana».
«In tema vale la pena ricordare la sindrome di wanderlust, l’ossessione del viaggiare, che è una condizione ascrivibile alle vere e proprie dipendenze. Si riscontra nelle persone che necessitano della scarica adrenalinica derivante da un viaggio – conclude la psicologa – e per i quali non viaggiare e non programmare un viaggio determina una crisi di astinenza».
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