Per l’immunologo dell’Istituto di Genetica Molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi” dell’Università Statale di Milano meglio non rinunciare alle mascherine nei luoghi chiusi in attesa di avere un possibile vaccino in grado di neutralizzare efficacemente Omicron
«La quarta dose per tutti oggi sarebbe inutile, non cambierebbe la situazione rispetto alla terza dose nei soggetti senza patologie, invece nei fragili e negli ultraottantenni è necessaria perché in generale, rispondono poco ai vaccini e secondo uno studio Israeliano riduce significativamente il rischio di forme severe della malattia».
L’immunologo Sergio Abrignani dell’Istituto di Genetica Molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi” dell’Università Statale di Milano non ha dubbi, neppure alla luce dello scenario che si sta delineando in paesi come la Cina (Shangai) e gli Stati Uniti (Philadelphia), dove il virus corre sempre più veloce e costringe milioni di persone nuovamente in lockdown.
«I dati disponibili oggi dicono che sotto i 60 anni non ci sarebbe alcun vantaggio significativo nel proteggere dall’infezione e dalla malattia – ribadisce –. Per la stragrande maggioranza della popolazione meglio attendere in autunno quando potrebbe arrivare, se i dati degli studi clinici saranno positivi, un nuovo vaccino combinato, composto da mRNA codificante per la spike di Wuhan, la spike di Omicron e l’emagglutinina del virus influenzale. Si tratta di un vaccino trivalente che potrebbe proteggere le vie aeree dalle ultime varianti di SARS-Cov-2 e dall’influenza stagionale».
I vaccini anti Covid oggi in commercio si basano sul ceppo Wuhan, il che significa che se due anni fa erano estremamente efficaci, (90-95%) sia per proteggere dall’infezione che da forme severe della malattia, oggi con tre dosi proteggono sempre al 90/95% solo dalla malattia severa, ma molto meno dall’infezione (60%). «Mi preme anche dire che prima di pensare alla quarta dose, dovremmo impegnarci per vaccinare con la terza dose quei milioni di italiani, soprattutto ultra cinquantenni, che hanno ricevuto due sole dosi di vaccino, che non si sono infettati col virus (cosa che vale come terza dose) e che forse non sanno che pochi mesi dopo la seconda dose, la protezione dalla malattia serena scende dal 90 al 60/70%», rimarca l’immunologo.
Che la pandemia non sia finita è un dato di fatto tanto che il virus circola ancora in modo pandemico. Ma niente allarmismi si raccomanda Abrignani: «Siamo in un momento, in Italia, dove almeno un quarto della popolazione si è già infettata con Omicron a partire dal 15 dicembre. Abbiamo avuto più della metà delle infezioni di due anni di pandemia in quattro mesi. Quindi siamo ancora in pandemia, ma, grazie alle vaccinazioni, siamo in una fase gestibile senza misure emergenziali. Gli ospedali hanno un numero di ricoveri al di sotto del 15 percento e le terapie intensive sono assolutamente sotto controllo. In ospedale la stragrande maggioranza delle diagnosi sono occasionali – sottolinea -. La gente entra per altre patologie e poi risulta positivo al Covid, e viene messo in isolamento perché infettivo».
Mascherine sì o no, il dibattito che si è acceso negli ultimi giorni ha creato ancora una volta due fazioni contrapposte. Chi ritiene utile mantenere l’uso in ambienti chiusi e chi invece sarebbe orientato alla scelta inglese del liberi tutti. In attesa di conoscere le decisioni del governo, Abrignani fa le sue considerazioni: «È provato che le mascherine, in particolare le Fp2, tendono a mitigare il rischio di infezioni e la diffusione del virus. Quindi, in una fase in cui c’è ancora una elevata circolazione del virus, come oggi, portare la mascherina al chiuso è raccomandabile, in particolare per soggetti fragili e ultraottantenni».
«Continuiamo ad inseguire questo virus – puntualizza Abrignani -. Da ottobre 2020 a dicembre 2021 ha sviluppato tre varianti importanti: Alfa, Delta e Omicron (inglese, indiana e sudafricana) in cui è aumentata l’infettività. Siamo passati da R0 di 2,5 con Wuhan a 4 di Alfa, con Delta è arrivato ad un R0 di 6, mentre con la Sudafricana addirittura a 12. Quindi pensare che possa arrivare una variante ancora più infettiva è difficile, ma non impossibile. Allo stesso modo è possibile che, se si dovessero sviluppare altre varianti poco riconosciute dalla risposta immunitaria indotta dal vaccino in uso, saremo in grado di avere nuovi vaccini in pochi mesi. Quindi possiamo ringraziare i vaccini anti Sars-Cov2 presenti e futuri, perché sono l’unica vera arma con cui addomesticare questo virus».
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