Un milione i fumatori in meno ma ancora alta la diffusione tra i giovani. L’ematologo padre della norma: «La sigaretta elettronica andava usata per aiutare a smettere di fumare invece è finita in mano ai ragazzi che così iniziano ad assuefarsi alla nicotina». Negativo il parere anche sulla cannabis light
«Sono felice per i numeri ma il lavoro iniziato 15 anni fa è stato interrotto. Le multinazionali del fumo sono riuscite a bloccare quel processo». È deluso l’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia, ematologo tornato al suo lavoro dopo la parentesi a Lungotevere Ripa nel secondo governo Berlusconi e padre di una norma che ha cambiato la vita di milioni di italiani.
A quindici anni dall’entrata in vigore della legge 3 del 2003 che ha vietato il fumo nei luoghi pubblici chiusi, il suo bilancio è in chiaroscuro. È vero che i numeri parlano di una diminuzione dei fumatori dal 23,8% al 19% per un totale di un milione di fumatori in meno in Italia secondo i dati di Ministero della Salute e Iss, ma «si poteva fare di più» secondo Sirchia. «Noi avevamo una agenda di governo molto precisa che non è stata seguita», precisa l’ex titolare della Salute, con riferimento ai gazebo esterni ai locali, dove si continua a fumare, e all’estensione del divieto in alcuni luoghi pubblici all’aperto. E poi la mancanza dei controlli, altro punto dolente: «Andavano mantenuti i controlli che invece sono cessati, a parte i Nas che fanno il loro dovere. Le Asl non hanno fatto alcuna ispezione in nessun posto d’Italia, che io sappia, sui luoghi di lavoro». Sullo sfondo resta anche la preoccupazione per la grande diffusione del fumo tra i giovani con le percentuali più alte tra i 20-24 anni, sia per gli uomini (32,4%) che per le donne (22,2%) e per la popolazione generale (27,7%), e la elevata prevalenza dei 15enni che dichiarano di aver fumato sigarette almeno un giorno nell’ultimo mese. Un dato, secondo Sirchia, non aiutato dalla diffusione della sigaretta elettronica: «La furbizia dei produttori è stata quella di utilizzarle non tanto per aiutare a smettere di fumare, su cui c’è una base di evidenza. Invece sono andate in mano ai giovani che iniziano ad assuefarsi alla nicotina». Un ragionamento che l’ematologo lombardo allarga anche al tema della cannabis light, su cui si dice «ferocemente contrario perché è la solita speculazione che si fa sulla pelle della gente».
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Professore, 15 anni fa la sua legge ha portato una rivoluzione che di fatto ha cambiato le abitudini degli italiani e migliorato la salute di milioni di persone. Qualcuno ha detto che lei è stato dimenticato…
«No, non ho proprio nessun sentimento del genere. Semplicemente sono tornato a fare il mio lavoro. Non ho ambizioni politiche».
In 15 anni un milione di fumatori in meno. Un grande risultato per quella legge…
«Sì, ma poteva anche essere continuata questa azione che invece è stata interrotta. Noi nel 2008 avevamo già ottenuto il risultato. Son passati dieci anni e siamo ancora fermi là. In questi 15 anni è stato fatto troppo poco per levarci di dosso questa calamità. A me sembra riprovevole».
Cosa bisogna fare in questi anni?
«Noi avevamo una agenda di governo molto precisa che non è stata seguita. Dovevamo prima consolidare il risultato della legge del 2005. Consolidarlo nel senso di portare a termine tutte le piccole azioni conseguenti alla legge. Ad esempio: lei avrà notato che davanti ai ristoranti e ai bar ci sono spesso dei gazebo dove la gente mangia, beve e spesso fuma. Questo è contrario alla legge esistente perché siccome sono luoghi in gran parte chiusi di fatto uno che va lì respira il fumo come prima o peggio di prima. Questo andava consolidato con una circolare in cui si diceva: attenzione che ricadono in questa legge anche i gazebo davanti ai locali. Il divieto andava esteso anche ai luoghi assembrati come stadi, parchi, ecc. Sono posti dove andava consolidato il risultato: l’effetto di uno che fuma lì è uguale a un posto chiuso. E poi andavano mantenuti i controlli che invece sono cessati, a parte i Nas che fanno il loro dovere. Le Asl non hanno fatto alcuna ispezione in nessun posto d’Italia che io sappia, sui luoghi di lavoro. Questa è una grave mancanza, perché è il loro compito, hanno servizi di prevenzione dotati di fior di personale che deve fare anche questo. Andava prima consolidato il risultato e poi andava affrontato il problema dell’iniziazione al fumo dei ragazzi».
I dati dicono che tra i giovani il fumo è in aumento…
«È in aumento perché il target delle multinazionali sono i ragazzi: se cominciano a fumare si assicurano un cliente che dura tutta la vita. Chiaro che loro puntano lì, con il tabacco ma anche con la sigaretta elettronica. Perché i ragazzi cominciano a svapare con questa e poi passano molto spesso al tabacco bruciato. Su questo non c’è stata nessuna iniziativa».
Sulle sigarette elettroniche cosa ne pensa? Possono essere uno strumento di riduzione del danno?
«Io sono molto negativo perché alla fine la furbizia dei produttori è stata quella di utilizzarle non tanto per aiutare a smettere di fumare: su questo c’è una base di evidenza che possa accadere. Invece sono andate in mano ai giovani che iniziano ad assuefarsi alla nicotina. È stata di fatto una furbizia per arrivare al risultato di arrivare ai nuovi clienti».
Non è stato facile varare questa legge…
«Affatto. Una multinazionale che guadagna miliardi non accetta di buon grado di vedere il mercato ridursi. Loro hanno grandissime capacità di penetrazione nella società nell’ambito legale, nell’ambito politico, nell’ambito comunicativo e quindi hanno messo in atto tutte la loro ‘batteria’ per evitare che questa legge andasse in porto, perché chiaramente li ha danneggiati. Purtroppo la cosa si è fermata, quindi sono riusciti nel loro obiettivo di fermare le cose. La riduzione del danno l’hanno fatta per loro».
Pensa che le sia costato il posto da Ministro questa cosa?
«Non lo so. Certamente uno che fa queste cose non ha futuro politico. Perché disturba talmente tanti interessi che alla fine se si può, si caccia via. Ma io non ho mai avuto ambizioni politiche».
Le chiedo una battuta sulla cannabis: cosa ne pensa del dibattito in corso adesso?
«È un altro ambito dove si configurano scenari di guadagni apocalittici perché logicamente le stesse multinazionali del fumo hanno in animo di percorrere la produzione di sigarette di cannabis, di entrare in un mercato che oggi non hanno. Allora si inventano tutto uno scenario di necessità, di bisogni della popolazione. Io mi chiedo che bisogno ha una popolazione di fumare la cannabis rischiando di avere dei danni cerebrali? Quando si comincia in giovane età sono documentati i danni cerebrali della cannabis. Finchè diciamo che va usata per motivi medici, si può accettare. Ma quando l’obiettivo è quello di metterla in mano al pubblico per uso ludico sapendo che va soprattutto ai ragazzi, e sappiamo che questi ne traggono un danno, io sono ferocemente contrario perché è la solita speculazione che si fa sulla pelle della gente per arricchire qualcuno».
È soddisfatto a 15 anni dall’emanazione della legge dai risultati?
«I risultati sono stati buoni. È mancato tutto un seguito che avrebbe potuto garantire a molta più gente una salute migliore invece di andare incontro a una marea di guai, come sanno quelli che fumano. Purtroppo questa parte è mancata e questo mi dispiace perché la salute pubblica come sempre è l’ultima cosa che interessa alla politica».
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