Salute 20 Gennaio 2022 16:06

Rapporto Crea Sanità: «Quasi 800mila famiglie rinunciano a spese sanitarie». I più graditi gli MMG

Pubblicato il XVII Rapporto dell’Università di Tor Vergata. L’Italia è il Paese Ue che fa minore ricorso all’ospedalizzazione in rapporto alla popolazione: «Il minor utilizzo è stato accompagnato da una progressiva chiusura di posti letto». Tutte le problematiche che generano insoddisfazione «legate alla organizzazione nella prenotazione ed erogazione dei servizi». L’Italia ha una quota di finanziamento pubblico del SSN fra le più basse in Europa

Rapporto Crea Sanità: «Quasi 800mila famiglie rinunciano a spese sanitarie». I più graditi gli MMG

Quali sono i punti di forza del Servizio sanitario nazionale secondo i cittadini italiani, e quali i punti deboli? Per quali servizi sarebbero disposti a pagare? E quanto spende il nostro Paese per la sanità se comparata agli altri membri dell’Unione europea? Di cosa deve tenere conto il PNRR per non avere esiti «disastrosi»? Sono solo alcune delle domande a cui prova a dare una risposta il XVII Rapporto Crea Sanità dell’Università di Tor Vergata, presentato oggi.

Il rapporto, che volutamente trascura considerazioni sulla gestione della pandemia (in quanto non è «ancora venuto il tempo per trarre conclusioni su una fase così drammatica») si concentra sulle esigenze di salute della popolazione italiana, in maniera tale da capire come implementare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. PNRR che «porta risorse per investimenti senza precedenti» e che rappresenta «una occasione irripetibile, il cui esito (come sperabile) sarà quello di rilanciare il Paese», ma che potrebbe anche essere «disastrosa, qualora le scelte di investimento fossero quelle sbagliate».

Per fare ciò è stato chiesto direttamente ai cittadini mediante una survey quali siano a loro parere i punti di forza dell’offerta del SSN, quali le principali criticità e di esplicitare per quali miglioramenti dei servizi si sarebbe disposti a pagare.

I punti di forza del SSN

Per quanto concerne la domanda sugli elementi di maggiore soddisfazione nei confronti del SSN, oltre la metà del campione (54,2%) indica la possibilità di avere l’assistenza del MMG, mentre il 39% indica la soddisfazione per la qualità dei medici. Con una percentuale molto inferiore troviamo la possibilità di avere la maggior parte dei farmaci in modo pressoché gratuito (20,5%), la citazione della soddisfazione per la possibilità di disporre di tecnologie avanzate (18%), più o meno a pari merito con la possibilità di poter disporre dell’assistenza ovunque ci si trovi (17,8%).

La soddisfazione per quest’ultimo elemento è più citata dalla popolazione in età lavorativa e da quella con titolo di studio elevato (laurea o superiore): «Considerando che il titolo di studio correla positivamente con reddito – si può leggere nel report –, il risultato sembra coerente con il fatto che sono le fasce che maggiormente vivono la necessità di spostarsi; di contro, per gli anziani si rafforza la citazione (superiore al 30%) dell’aspetto della gratuità delle cure e dei farmaci: anche in questo caso risultato coerente con il fatto che si tratta della popolazione con i maggiori consumi».

A livello geografico, nel Sud cala la fiducia nella qualità clinica, che comunque è maggiormente apprezzata dalle persone con più elevato titolo di studio; le persone con titolo di studio medio-basso sono, invece, particolarmente soddisfatte dal poter disporre della disponibilità del MMG.

«Ci pare di poter concludere – spiegano gli autori del report – che la qualità dell’assistenza clinica non è considerata un problema, anche se con qualche ombra nel Sud: è anzi l’elemento che maggiormente qualifica il SSN agli occhi dei cittadini; che le persone con titolo di studio medio-basso si affidano, con soddisfazione, al MMG, mentre quelle con titolo di studio più elevato usano probabilmente “altre strade” e maggiormente riconoscono il valore di disporre di una elevata offerta tecnologica nell’ambito del SSN».

I punti deboli del SSN

Passando alle ragioni di insoddisfazione, la risposta del campione è «inequivocabile e in qualche modo attesa»: i problemi del SSN sono di natura organizzativa: in primis le liste di attesa (citata dal 38,9% dei rispondenti) e, a seguire, la difficoltà nel riuscire a prendere gli appuntamenti (35,6%). Con minore frequenza, sono richiamate le attese (inutili) negli studi medici/ambulatori (22,7%) ed il fatto di essere “rimbalzati” tra i vari uffici (20%).

«Non ci si può esimere dall’osservare – si legge nel documento – che tutte le problematiche che generano insoddisfazione sono legate alla organizzazione nella prenotazione ed erogazione dei servizi». Le liste di attesa sono fonte di crescente insoddisfazione al crescere dell’età dei rispondenti e al diminuire del loro livello di titolo di studio. Questi ultimi soggetti lamentano, inoltre, la necessità di doversi spostare per accedere alle prestazioni, mentre i più giovani ritengono rilevante che il costo delle prestazioni, a causa del ticket, a volte è maggiore che sul mercato. «A riprova della segmentazione che esiste nella domanda, oltre alla più volte richiamata differenza di priorità fra fasce diversamente istruite, registriamo analoghe differenze geografiche: nel Nord è più citato che nel Sud il problema delle attese (inutili), come anche quello di non riuscire a concentrare più prestazioni in un unico appuntamento».

«Possiamo trarne la conclusione – si può leggere – che nel SSN coesistono sottosistemi con due velocità diverse, e la survey conferma che esistono sia sul versante strettamente sanitario (si veda il dato sulla percezione della qualità del sistema e sul comfort ospedaliero), sia su quello sociale (si veda come nel Nord si evidenzi una maggiore attenzione per gli effetti indiretti dell’assistenza, come nel caso delle attese, e della organizzazione/concentrazione delle “sedute”)».

Per quali servizi i cittadini sarebbero disposti a pagare?

Anche la risposta sulla “disponibilità a pagare” è praticamente un plebiscito: quasi la metà delle risposte converge sul fatto che si sarebbe disposti a pagare pur di avere liste di attesa inferiori. Su tutto il resto non si evincono concentrazioni di citazioni particolari. Peraltro, nel Sud è maggiore la quota di persone disposte a pagare per avere maggior comfort ospedaliero e/o la possibilità di curarsi più vicino a casa; nel Nord-Est è persino maggiore la quota di persone disposte a pagare per ridurre le liste di attesa; nel Centro una quota rilevante di persone dichiara che sarebbe disposta a pagare per avere la possibilità di disporre di cure domiciliari. Queste ultime sono una esigenza particolarmente sentita dalla popolazione con titolo di studio medio-basso. Il poter disporre dei propri dati sanitari su internet è una (parziale) priorità solo per la fascia di popolazione più istruita.

L’Italia ha una quota di finanziamento pubblico del SSN fra le più basse in Europa

L’Italia, pur avendo un sistema sanitario pubblico di stampo universalistico, nel 2020, secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), registra una quota di finanziamento pubblico pari al 76,3%, che risulta fra le più basse in Europa. Nel 2020, la spesa sanitaria pubblica e privata corrente italiana risulta pari a € 2.690,5 pro-capite: secondo i dati diffusi dall’OECD, il livello è inferiore del 35,9% rispetto alla media (€ 4.195,9) dei (rimanenti) Paesi entrati nella Unione Europea prima del 1995 e superiore del 132,8% rispetto alla media (€ 881,5) dei Paesi entrati nella Unione Europea dopo il 1995.

Il gap rispetto a EU-Ante 1995 risulta cresciuto di ulteriori 1,6 punti percentuali rispetto al 2019; rispetto al 2000 la forbice si è allargata di – 14,7 punti percentuali. Il gap rispetto a EU-Post 1995 risulta diminuito di ulteriori 3,5 punti percentuali rispetto al 2019; rispetto al 2000 la forbice si è ristretta di 309,1 punti percentuali. Fra il 2019 e il 2020, la spesa sanitaria pro-capite del nostro Paese è cresciuta del + 3,5%, contro una media del + 6,1% degli altri Paesi EU-Ante 1995; la crescita media annua italiana tra il 2000 ed il 2020 è stata pari al + 2,5%, un punto percentuale meno della media (+ 3,5%) degli altri Paesi EU-Ante 1995. La crescita della spesa totale pro-capite del complesso dei Paesi EU-Post 1995, invece, è stata del 7,6% tra il 2019 e il 2020 e l’incremento medio annuo tra il 2000 e il 2020 è stato pari al 7,1%, ovvero 4,7 punti percentuali superiore a quello evidenziato dall’Italia. Appare evidente come, anche durante il periodo pandemico da Covid-19, l’Italia ha avuto una crescita della spesa sanitaria totale inferiore rispetto a quella degli altri Paesi europei.

La spesa sanitaria delle famiglie

Nel 2019, il 77,8% delle famiglie italiane ha sostenuto spese per consumi sanitari: valore sostanzialmente invariato rispetto al precedente biennio (77,9% e 77,6%). Nel periodo 2014-2019, la quota delle famiglie che consumano per beni e servizi sanitari acquistati direttamente, si è incrementata di 16 punti percentuali. Ad eccezione del calo registrato nell’anno successivo alla crisi finanziaria del 2013, quando solo il 58,2% delle famiglie aveva fatto ricorso a spese per consumi sanitari privati, il trend è cresciuto continuamente, sebbene con un quadro sostanzialmente di stabilità nell’ultimo triennio. Sempre nel 2019, 2,9 milioni di famiglie hanno dichiarato di aver cercato di limitare le spese sanitarie, e di queste 797.543 non le hanno in effetti affatto sostenute: convenzionalmente identifichiamo queste famiglie come casi di “rinunce” alle spese sanitarie.

Spese e consumi

Il fenomeno della necessità di limitare i consumi si è ridotto del 6,8% (circa 200mila famiglie in meno nell’ultimo anno), come anche quello delle “rinunce” (- 2,7%), che ha coinvolto circa 20mila famiglie in meno dell’anno precedente. Per quanto concerne la spesa, si consideri che, nel 2019, le famiglie italiane hanno sostenuto una spesa media annua totale per consumi pari a € 30.706,9 (- 0,4% rispetto al 2018): il consumo è minore, pari a € 24.819,9, per i residenti nel Mezzogiorno, ed arriva a € 33.367,1 per quelle residenti nel Nord-Ovest. In termini di composizione, non si registrano variazioni significative rispetto all’anno precedente: quasi il 90% della spesa totale si concentra in sole quattro voci di spesa, ovvero “Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili” (34,9%), “Affitti figurativi” (22,9%), “Prodotti alimentari e bevande analcoliche” (20,0%) e “Trasporti” (11,2%).

La spesa sanitaria media annua delle famiglie, nel 2019, risulta pari a € 1.409,8, in riduzione dell’1,9% rispetto all’anno precedente. I consumi sanitari rappresentano l’ottava voce di spesa in ordine di importanza. L’incidenza dei consumi sanitari sulla spesa delle famiglie si attesta al 4,6%. L’incidenza dei consumi sanitari sul totale oscilla da un valore minimo del 4,5% nel Centro ad uno massimo, pari al 5,0% nel Mezzogiorno e si attesta al 3,7% per le famiglie del I quintile (le meno “abbienti”) ed al 4,7% per quelle dell’ultimo (le più “abbienti”). La spesa media effettiva familiare, ovvero quella calcolata sui soli nuclei che la sostengono, ammonta a € 1.809,5 (- 2,2% rispetto al 2018).

L’Italia è il Paese Ue che fa minore ricorso all’ospedalizzazione

L’Italia è il Paese Ue che fa minore ricorso all’ospedalizzazione in rapporto alla popolazione. Il minor utilizzo è stato accompagnato da una progressiva chiusura di posti letto, sebbene con una significativa variabilità regionale. Complessivamente, i tassi di occupazione sono comunque rimasti su livelli medi, che non sembrerebbero indicare un particolare rischio di stress sul lato dell’offerta. Non di meno si osserva una distribuzione non omogenea dei tassi: non tanto sul fronte delle terapie intensive, che prima della pandemia erano occupate largamente sotto il 50%; piuttosto con una elevatissima occupazione dei posti letto delle pneumologie e nei reparti di malattie infettive.

Il personale sanitario del Ssn, in media, si è ridotto, ma con differenze regionali: nel Nord il personale sanitario è aumentato, mentre nel Sud è diminuito. Anche il personale dipendente delle strutture di ricovero si è ridotto ed anche in questo caso si tratta di una media fra il Nord che vede aumentare il personale delle strutture di ricovero e il Sud che lo diminuisce. La dotazione organica delle strutture di ricovero è aumentata in quasi tutte le Regioni; analogamente anche la dotazione organica di personale sanitario delle strutture di ricovero è aumentata in quasi tutte le Regioni. Parallelamente, però, il personale dipendente delle strutture non di ricovero si è ridotto a livello nazionale, anche in rapporto agli abitanti. Piuttosto che una vera carenza di offerta, se non per specifiche aree e specializzazioni (ad esempio la carenza di anestesisti e rianimatori), sembra potersi segnalare una «scarsa flessibilità organizzativa e una carente programmazione, come sembra indicare il fatto che sono stati probabilmente sottovalutati i segnali provenienti dalla pressione sulle strutture che si è storicamente osservata per effetto delle influenze stagionali. L’assenza di evidenti segnali di stress sul lato dell’offerta, sembra confermare che la soluzione ai problemi di saturazione registrati durante la pandemia sia da ricercarsi essenzialmente in nuove forme di flessibilità organizzativa e ridistribuzione dei PL, piuttosto che in diffusi incrementi dell’offerta attuale».

Anelli (FNOMCeO): «Medici ai primi posti tra i punti di forza SSN. Risultato che inorgoglisce e sul quale costruire il futuro»

I risultati della survey promossa dal Crea Sanità «ci riempiono di orgoglio: al primo posto tra i punti di forza del Servizio Sanitario si colloca la possibilità di avere il medico di famiglia; al secondo, la qualità dei medici italiani». Così il Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli, commenta i dati emersi dal rapporto. «Si tratta di un risultato atteso, non solo perché ricalca quanto emerge da precedenti sondaggi del Censis, di Euromedia research, e di altri Enti e istituti, che indicavano un’altissima fiducia e gradimento degli italiani nei confronti dei medici di famiglia e dei medici in generale – spiega Anelli – ma anche perché fotografa quanto sperimentiamo ogni giorno nei nostri studi. Vale a dire un rapporto unico tra il medico di medicina generale e il suo paziente, un’alleanza terapeutica che si nutre di fiducia e si corrobora con la continuità. Un rapporto che fa bene alla salute – spiega Anelli – e allunga la vita dei cittadini, come dimostra uno studio pubblicato poco tempo fa su Bmj Open, diventando parte della cura stessa. Un risultato atteso, dunque, che però fa sempre piacere e che ci sostiene nella nostra attività di tutela della salute. Un risultato da prendere come punto di partenza e di riferimento per costruire il futuro».

 

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