Il documento annuale dell’Istituto di Statistica sottolinea che gli italiani si collocano al di sotto della media europea quando si considera la qualità degli anni vissuti. Molise, Basilicata e Calabria regioni con più alto tasso di mobilità ospedaliera
«Una delle sfide della maggior parte dei paesi europei e occidentali per i prossimi decenni è quella di far guadagnare alle generazioni di anziani il maggior numero di anni vissuti in buone condizioni di salute e senza limitazioni nelle attività, anche promuovendo l’invecchiamento attivo». È una delle frasi contenute nel Rapporto Annuale Istat che traccia ancora una volta il quadro di un’Italia spaccata sul fronte della salute e della sanità sull’asse Nord/Sud.
In primis, è il dato sull’aspettativa di vita a sorprendere: la speranza di vita alla nascita in Italia, considerato uno dei Paesi più longevi al mondo, ha raggiunto nel 2017 gli 80,6 anni per gli uomini e gli 84,9 anni per le donne. Lo rivela il rapporto annuale dell’Istat, sottolineando come il valore più elevato si trova a Firenze (84,1 anni) e nella provincia di Trento (83,8 anni). Il valore minimo, invece, si registra nelle province di Napoli e Caserta (per entrambe 80,7 anni). Valori simili per lo stato di salute: se, infatti, a Bolzano si arriva in media alla soglia dei 70 anni senza particolari problemi di salute, questa soglia scende drasticamente intorno ai 50 in Basilicata e Calabria. In Italia nel 2015 la vita media attesa a 65 anni è risultata di 22,2 anni per le donne e 18,9 per gli uomini, superiore di un anno rispetto alla media dei paesi Ue. Ma gli anziani italiani si collocano al di sotto della media europea quando si considera la qualità degli anni vissuti, indicatore che considera la percezione dello stato di salute e la presenza di limitazioni fisiche nel condurre una vita autonoma. Se la media nazionale è di 60 anni vissuti in buona salute per gli uomini e 57 anni e 8 mesi per le donne, chi nasce nella provincia autonoma di Bolzano ‘guadagna’ quasi 10 anni in più: ovvero 69,3 per gli uomini e 69,4 anni per le donne.
Non cambia di molto il dato sulla sanità italiana che si conferma a due velocità: un Centro-Nord con strutture di eccellenza e più Dipartimenti di emergenza, e un Sud da dove spesso si “emigra” proprio al Nord per curarsi. Il Rapporto dell’Istat fotografa una situazione eterogenea, a partire dai posti letto: nel 2015 la media nazionale è scesa a 3,6 posti per mille abitanti (erano 3,9 nel 2010), ma la maggior parte delle Regioni del Nord ha una dotazione superiore alla soglia, con l’eccezione di Liguria e Veneto (3,6 per entrambe). Per contro, il Molise è l’unica regione meridionale con una dotazione elevata di posti letto per abitante (4,5 per mille). La mobilità ospedaliera, seppur legata a diverse motivazioni (presenza dell’assistito in regioni diverse da quella di residenza per motivi di studio o lavoro, vicinanza geografica con strutture di altre regioni), è spesso dovuta all’assenza di un’offerta di strutture ospedaliere o reparti di alta specializzazione, che sono concentrate prevalentemente al Centro-Nord; questa evidenza aiuta a spiegare in parte la forte mobilità in uscita dal Mezzogiorno. Le regioni con la quota più elevata di mobilità in uscita sono Molise, Basilicata e Calabria (rispettivamente il 26,7, il 23,7 e il 21,2 per cento dei ricoveri dei residenti nel 2016); le stesse regioni hanno la percentuale più bassa di cittadini soddisfatti per l’assistenza medica ospedaliera ricevuta nel luogo di residenza (il 25,6, il 12,6 e il 21,1 per cento rispettivamente). Mentre le regioni più attrattive per l’assistenza ospedaliera sono la Lombardia e l’Emilia-Romagna, le quali effettuano, rispettivamente, 3,0 e 2,4 ricoveri in entrata per ogni ricovero in uscita. Al contrario, Sicilia e Campania hanno un saldo negativo ed effettuano 0,4 ricoveri in entrata per ogni ricovero in uscita.
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