Dalla “Bocconi” le differenze tra la sanità italiana e quella degli altri Paesi europei
Siamo proprio sicuri di spendere troppo per il nostro Servizio sanitario nazionale?
A leggere il rapporto OASI 2013 della “Bocconi” sembrerebbe di no, almeno se si paragonano le risorse messe a disposizione dal nostro Stato con quelle impiegate dagli altri Paesi europei.
Si scoprirà in questo modo che molte delle idee che abbiamo riguardo la sanità italiana sono in realtà dei falsi miti che andrebbero cancellati.
Il report della “Bocconi” parla chiaro. Messa in paragone con i Paesi europei che più le somigliano (Francia, Gran Bretagna e Germania), l’Italia è la nazione con la più bassa spesa sanitaria pro-capite: 2.418 euro in media a persona contro i 2.747 della Gran Bretagna, i 3.135 della Francia e i 3.316 della Germania (a parità di potere d’acquisto). La spesa sanitaria nazionale incide poi per l’11,7 per cento sulla spesa pubblica italiana, ovvero molto meno rispetto a quanto avviene in Germania, Gran Bretagna e Francia, le cui percentuali ammontano al 20, al 17 ed al 15,4 per cento della loro spesa pubblica. Questi dati, dunque, vanno a sfatare un primo mito: quello dell’eccessiva spesa pubblica che il nostro Paese riserva al suo Ssn e, in generale, al suo Welfare.
Un secondo dato è relativo alle risorse riservate ad anziani e disabili invalidi e non autosufficienti. Qui l’Italia si distingue per due motivi: il tasso di copertura italiano arriva al 95,14 per cento degli eleggibili (Gran Bretagna, Francia e Germania si fermano al 44,37, al 49,19 ed al 65,52 per cento), mentre la spesa media per assistito in Italia si aggira intorno ai 12.400 euro (negli altri Paesi raggiunge un ammontare che oscilla tra i 25mila e i 37mila). In sostanza – si legge nel report – “l’Italia comparativamente appare come un Paese che non sceglie e distribuisce le proprie risorse a pioggia”, mentre gli altri Paesi sono “abituati a profondi lavori di selezione, che garantiscono ai beneficiari un contributo effettivamente adeguato”. Da qui si può sfatare un secondo mito, ovvero quello di un sistema sociale “che deve ridurre la quota di prestazioni per ampliare le possibilità di auto definizione dell’utente”, in quanto “il Welfare italiano è quello in cui la componente di trasferimenti cash è più elevata”.
Un terzo mito riguarda l’assistenza pubblica locale: in Italia le politiche sociali sono sì devolute ai livelli istituzionali periferici, ma la composizione della spesa per il Welfare vede un “peso molto più rilevante” delle componenti gestite centralmente rispetto a quanto “non accada negli altri Paesi considerati”. Ciò significa, dunque, che la spesa è “governata” dalle amministrazioni centrali, mentre risulta minima “la rilevanza finanziaria degli interventi da parte degli enti locali”. E qui crolla anche il quarto mito, ovvero quello della programmazione: secondo il documento, infatti, mentre la “quota principale delle risorse è allocata presso le amministrazioni centrali”, quelle periferiche “investono con intensità su attività di programmazione integrata” senza che venga discussa la governance di un sistema di risorse troppo frammentato in vari stadi decisionali.
In ultima analisi, andrebbe sfatato il mito dell’efficienza: vista la carenza di risorse a disposizione del nostro Ssn, queste andrebbero gestite meglio, secondo criteri di priorità. Al contrario, in Italia si preferisce rinunciare a “differenziare gli interventi in funzione di bisogni con diverso grado di criticità, priorità e intensità assistenziale richiesta”.