Dal 2010 al 2018 33 mila posti letto in meno. Durante la pandemia differenze regionali nella cura e gestione dei pazienti. Veneto la più virtuosa. Il direttore dell’Osservatorio: «Antiscientifico e illogico affidare sanità alle regioni»
Il decentramento regionale del Sistema sanitario nazionale si è dimostrato poco efficace durante la pandemia. Si arriva subito a questa conclusione, leggendo i dati di crescita del Rapporto Osservasalute curato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane. Dal 2010 al 2018, nero su bianco, la spesa per la sanità pubblica è aumentata solamente dello 0,2% medio annuo. Nello stesso periodo, il numero di posti letto è diminuito di circa 33 mila unità, con un decremento medio dell’1,8% che segue il trend in diminuzione iniziato negli anni Novanta.
«La crisi drammatica determinata da Covid-19 – afferma il direttore di Osservasalute, Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica – ha improvvisamente messo a nudo fino in fondo la debolezza del nostro sistema sanitario e la poca lungimiranza della politica nel voler trattare il Ssn come un’entità essenzialmente economica alla ricerca dell’efficienza e dei risparmi, trascurando il fatto che la salute della popolazione non è un mero ‘fringe benefit’, ma un investimento con alti rendimenti, sia sociali sia economici».
LEGGI ANCHE MEDICINA DEL TERRITORIO, LE PROPOSTE DELLA FNO-TSRM E PSTRP ALLE REGIONI
L’esistenza di 21 diversi sistemi sanitari, con performance molto diverse tra di loro, ha determinato conseguenze anche per i cittadini, ha rilevato il direttore scientifico Alessandro Solipaca: «Non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura, mettendone a rischio l’uguaglianza rispetto alla salute. Il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace, le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi particolarmente disomogenee, spesso imprecise e tardive nel comunicare le informazioni». Di conseguenza è cresciuta la spesa privata delle famiglie, pari al 2,5%. Nel 2018, la spesa sanitaria complessiva ammontava a circa 153 miliardi di euro, dei quali 115 miliardi di competenza pubblica e circa 38 miliardi a carico delle famiglie.
Nel 2017 il numero di medici e odontoiatri del Servizio sanitario nazionale risulta di 105.557 unità, registrando un calo dell’1,5% rispetto al 2014, quando i medici erano 107.276; per quanto riguarda il personale infermieristico si registra una riduzione dell’1,7% del numero di unità che passano da 269.151 nel 2014 a 264.703 nel 2017. Il tasso di medici e odontoiatri del Ssn per 1.000 abitanti è in diminuzione in tutte le regioni, si legge sul Rapporto, a eccezione di Trentino-Alto Adige, Puglia, Umbria e Sardegna.
In particolare, al Centro e al Sud, isole comprese, la riduzione del tasso di medici e odontoiatri per 1.000 abitanti risulta più marcata e in via generale con valori superiori al dato nazionale. Per il tasso di infermieri del Ssn per 1.000 abitanti, a eccezione di Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata e Calabria, in tutte le Regioni si riscontra il trend negativo registrato a livello nazionale. In particolare, le riduzioni più marcate si registrano in Abruzzo, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Molise.
LEGGI ANCHE CIMO-FESMES: «MES O NON MES, IL SSN SI SALVA SOLO CON UNA STRATEGIA NAZIONALE»
Con l’emergenza Covid vengono sottolineate anche le differenze regionali per tasso di letalità. In Lombardia si raggiunge il 18%, mentre in Veneto un massimo del 10%. Emilia-Romagna, Marche e Liguria sono le altre Regioni con la letalità più elevata, tra il 14-16%. Non è chiara la spiegazione di questo dato, potrebbe essersi verificata una sottostima del numero di contagiati. Questa circostanza richiama la scarsa qualità del monitoraggio effettuato da alcune regioni. Il Veneto ha la quota più bassa di ospedalizzati e quella più alta di soggetti positivi posti in isolamento domiciliare. All’inizio della pandemia questa Regione aveva in isolamento domiciliare circa il 70% dei contagiati, nell’ultimo periodo oltre il 90%.
Diversamente in Lombardia e Piemonte, che hanno percentuali di ospedalizzazione tra il 50% e il 60% all’inizio della pandemia, per poi crescere e oscillare tra il 70% e l’80% nella prima metà di marzo, quando nelle altre regioni diminuisce. Infine, scendono sotto il 20% a partire dalla fine di aprile, primi di maggio.
LEGGI ANCHE QUEST’ESTATE GLI OSPEDALIERI POTREBBERO NON RIUSCIRE AD ANDARE IN FERIE. LEONI (CIMO VENETO) SPIEGA PERCHE’
Ancora un primato al Veneto, per aver effettuato il numero più alto di tamponi per Covid-19 in rapporto alla popolazione, circa 50 ogni 100 mila abitanti all’inizio dell’emergenza, fino a punte superiori a 400 agli inizi di giugno. La Puglia è invece quella con il numero minore di tamponi effettuati, meno di 100 ogni 100 mila abitanti.
«La sanità non può essere completamente affidata all’ente locale perché oggi è globale e deve essere affrontata dalle istituzioni nazionali e internazionali», ha concluso Ricciardi. «Si pensava che l’infezione dalla Cina non arrivasse mai? Dopo poche settimane avevamo migliaia di casi. La sanità contemporanea è questa, è antiscientifico e illogico affidarla alle regioni. Con questo messaggio che locale è bello, nazionale è brutto, l’Italia si condanna a una eterogeneità eterna. Spero che il messaggio arrivi forte e chiaro e si trovino proposte alternative».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO