Uniamo, la Federazione italiana Malattie rare, chiede uniformità alle regioni sui Pdta: «Troppe differenze tra regioni» sottolinea la presidente Scopinaro. Per Napolano, Presidente AICD, il problema è l’organizzazione del territorio: «Mentre negli ospedali materiali e farmaci sono facilmente reperibili, sul territorio molti strumenti non si trovano perché non sono mai stati utilizzati»
I dati dell’ultimo Rapporto OSSFOR sui farmaci orfani vengono salutati con soddisfazione dalle associazioni che si occupano dei pazienti affetti da malattie rare e dei loro familiari. Infatti, secondo l’analisi, nonostante i nuovi Lea abbiano incrementato del 3% il numero di pazienti che usufruiscono dell’esenzione, il costo per il Servizio sanitario è rimasto stabile intorno ai 2 miliardi di euro, pari all’1,7% della spesa sanitaria complessiva. I dati stimano che le persone con un’esenzione da ticket per malattia rara siano 433mila in Italia, lo 0,72% della popolazione. I problemi da affrontare, però, restano molti.
«Il fatto che ci siano ancora dei codici di esenzione non dati per malattia rara costituisce sicuramente un problema per il sistema – sottolinea a Sanità Informazione Annalisa Scopinaro, Presidente di Uniamo, la Federazione italiana Malattie rare -. Noi nel rapporto MonitoRare abbiamo recensito circa 780mila malati rari, qui con il codice di esenzione sono 433mila: i due terzi. Inoltre, dal Rapporto emerge che non c’è ancora un investimento in ricerca, tanto è vero che le sperimentazioni vengono fatte soprattutto all’estero e questo può essere un problema per gli anni futuri. L’altra cosa che emerge dall’analisi è che il costo dei malati rari non è superiore alla media di due malattie croniche. Se pensiamo a una popolazione di 60 milioni sarebbero circa un milione i malati rari che potrebbero essere sostenuti dal sistema senza costi aggiuntivi. L’affermazione che i malati rari costano di più per il sistema è una cosa non dimostrata dai dati».
Resta però il tema delle grandi differenze che ci sono tra le regioni, non solo per l’accesso ai farmaci orfani ma anche per la presa in carico di questi pazienti. «Sicuramente ci sono ancora diseguaglianze regionali a tutti i livelli, non solo per l’accesso ai farmaci, che a volte vengono ritardati rispetto ai prontuari e questo è un problema per tutti i malati rari che aspettano le cure – aggiunge Scopinaro – ma ci sono anche criticità relative all’assistenza sociale e all’assistenza domiciliare. Su questo bisogna lavorare tanto. Le differenze territoriali sono tante: abbiamo regioni che vanno un pochino meglio e regioni che vanno peggio. Abbiamo visto come per i Pdta ci sono regioni che ne hanno 100 e regioni che ne hanno uno o due. Il percorso per il paziente deve essere individuato in tutti i posti d’Italia».
Sulla stessa lunghezza d’onda il dottor Stanislao Napolano, presidente dell’Associazione italiana di cure domiciliari, nata circa due anni fa, che raggruppa gli operatori sul territorio che seguono i pazienti complessi dimessi dall’ospedale. «L’integrazione ospedale-territorio non riesce a diventare un’entità concreta perché il territorio non è un’entità organizzata; è il distretto sanitario che è il titolare delle cure domiciliari, ma il suo modello storico non ha le potenzialità per rispondere alle grosse patologie di oggi, in particolare le malattie rare» sottolinea Napolano che aggiunge: «Quando abbiamo costituito la società ci siamo domandati quali sono le esigenze delle famiglie. Se non sappiamo quali sono i problemi di pazienti e famiglie le risposte non potranno mai essere adeguate ai loro bisogni».
Secondo Napolano, i pazienti e le loro famiglie chiedono in primis l’azzeramento della burocrazia: «Oggi i pazienti che vengono dall’ospedale già con tutta la documentazione clinica devono essere sottoposti all’unità di valutazione integrata, uno strumento che poteva essere utile in passato nell’assistenza agli anziani. La burocrazia, oggi, deve essere fluida e non mettere i bastoni tra le ruote. L’altro grosso problema sono i materiali, dai farmaci alle attrezzature. Mentre negli ospedali sono facilmente reperibili, sul territorio molti strumenti non si trovano perché non sono mai stati utilizzati. Meno burocrazia, strumentazioni e personale specifico: questo è ciò che va assicurato ai pazienti» conclude il presidente.