Undici storie che fotografano la vita di fratelli e sorelle dei malati rari in Italia. Dalla survey dell’Osservatorio Malattie Rare sui sibling emerge un bagaglio emotivo caratterizzato da sentimenti a volte ambivalenti e un desiderio di confronto con gli altri molto forte
“La mia storia è quella di mio fratello. Racconti di famiglie e di malattie rare”. È questo il titolo del volume realizzato da O.Ma.R. e illustrato di recente al Ministero della Salute alla presenza dei partner del progetto e delle istituzioni rappresentate dalla Senatrice Paola Binetti, Presidente Intergruppo Parlamentare Malattie Rare e neuropsichiatra infantile, e dalla Dottoressa Cristina Tamburini, Direttore dell’Ufficio del Ministero della Salute che si occupa di Tutela della salute della donna, dei soggetti vulnerabili e contrasto alle diseguaglianze.
Il questionario è rimasto aperto per 7 mesi e ha raccolto le risposte di ‘Rare sibling’ e genitori: la condizione mette a dura prova tutto il nucleo familiare, soprattutto i genitori su cui pesa anche la preoccupazione di trascorrere poco tempo con i figli sani. La survey ci consegna dati interessanti: il 67% dei sibling sa che in futuro diventerà caregiver, il 50% teme il futuro e, pur desiderando una vita autonoma, il 51,4% vorrebbe realizzarla senza allontanarsi troppo dalla famiglia d’origine per poter essere d’aiuto.
Abbiamo approfondito i risultati del sondaggio con la dottoressa Laura Gentile, Psicologa e Psicoterapeuta, responsabile scientifica del progetto Rare Sibling nonché madre di due figli, uno dei quali con una malattia rara.
Dottoressa, in cosa consiste il progetto Rare Sibling?
«Il progetto è nato un anno mezzo fa dall’esigenza di un genitore e dei fratelli di un malato raro che si erano rivolti all’Osservatorio Malattie Rare. Da qui, esplorando le nostre pregresse esperienze professionali ci siamo resi conto che, in realtà, di interventi dedicati ai sibling rari, c’era ben poco. Abbiamo strutturato una survey che è stata in rete sul sito Rare Sibling sette mesi e da questo abbiamo tratto i primi risultati. Dalle interviste vis a vis con sibling e genitori, infatti, sono venute fuori le relazioni tra fratelli e il rapporto con i genitori, i progetti di svincolo e autonomia piuttosto che l’esigenza di confronto con gli altri sibling. La cosa più evidente che è emersa, a mio parere, è che la relazione tra fratelli rimane valida e importante anche nella rarità e nella difficoltà, con tutte le caratteristiche tipiche di questo rapporto: emozioni e sentimenti ambivalenti, reciproco sostegno e supporto, a volte competizione e conflitto. La situazione di rarità si aggiunge a questo e complica un po’ le cose. Quello che ci chiedono i sibling è di essere visti nelle loro esigenze specifiche. È necessaria un po’ di attenzione in alcuni fasi dello sviluppo, soprattutto quelle che riguardano lo svincolo e l’autonomia; i dati ci dicono che quando progettano una vita autonoma e indipendente lo fanno sempre pensando di rimanere vicino alla casa genitoriale. Hanno comunque nella loro progettualità e mente l’idea che un giorno diventeranno i prestatori di cura dei fratelli, questo nel 70% dei casi. Anche se, solo nel 43% dei casi, i genitori avevano espressamente pensato o proposto al sibling di occuparsi del fratello o della sorella dopo di loro».
Il senso di responsabilità nasce da sé?
«Sì, possiamo dire questo. Molto spesso, fanno progetti per il futuro, desiderano una propria autonomia ma è un’equazione dalla quale non possono sottrarre la sorella o il fratello con la malattia».
È previsto un supposto psicologico per i sibling?
«A partire dal 2020, l’Osservatorio Malattie Rare si farà promotore dei Rare Siblings Groups, dei gruppi esperienziali, con alla base la tecnica dell’auto mutuo aiuto che saranno omogenei per età. Stiamo valutando se fare gruppi per patologia o fare dei gruppi con diverse patologie per un confronto più significativo. Questa è la terza fase del progetto che si realizzerà più avanti, stiamo definendo gli ultimi particolari».
Qual è l’approccio psicologico più idoneo per i nuclei familiari influenzati dalle malattie rare?
«Secondo me, i gruppi di auto mutuo aiuto sono una grande risorsa: se non c’è una patologia pregressa e la reazione è conseguente alla malattia – ossia parliamo di una reazione normale rispetto a una situazione di sconvolgimento – non è detto che sia necessario un sostegno psicologico o una psicoterapia, ma può essere sufficiente avere la possibilità di parlare ed esprimere le emozioni che si vivono, già questo può essere terapeutico».