«In una situazione di emergenza sanitaria i trial clinici non forniscono risultati in tempi ragionevoli. Gli studi osservazionali, basati su dati di Real Evidence, sono più veloci e, se condotti da professionisti esperti, molto attendibili»
Generare rapidamente evidenze cliniche che potessero consentire alle agenzie regolatorie e agli operatori sanitari di prendere decisioni ponderate è stata una delle principali esigenze emerse nell’ambito della ricerca scientifica durante la pandemia causata dal SARS-CoV-2. «E la Real World Evidence (RWE), creata tramite analisi accurata di Real World Data (RWD), è stata una delle risposte più veloci ed efficaci», spiega Gianluca Trifirò, professore associato del dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali presso l’Università degli Studi di Messina e coordinatore del Master di II livello sulle Valutazioni tramite Real World Data promosso dall’ateneo messinese
«In una situazione di emergenza sanitaria come quella che abbiamo vissuto – aggiunge – se avessimo utilizzato solo i trial clinici non avremmo avuto nessun risultato in tempi ragionevoli. Infatti gli studi osservazionali, basati su dati di Real Evidence, hanno già dato i propri frutti, mentre per avere il responso dei trial clinici avviati nello stesso periodo dovremo attendere ancora qualche mese».
La RWE negli ultimi dieci anni ha assunto un ruolo sempre più centrale nell’ambito delle decisioni regolatorie, come sancito con il “21st Century Cures Act” negli Usa, e confermato da diverse iniziative intraprese dall’Agenzia europea del farmaco e in parte da AIFA.
Questo ruolo si è affermato ancor di più, anche in Italia, nei mesi scorsi, confermando la sua utilità: «La RWE, generata dall’analisi dei dati del “Real World”, ovvero del mondo reale – aggiunge il professore – corrisponde nella maggior parte dei casi ai dati derivanti dai flussi in formato elettronico di servizi sanitari erogati ai cittadini e a quelli raccolti da operatori sanitari, medici di famiglia e specialisti tramite la cartella elettronica».
A questi dati ha fatto riferimento anche la rete, nata spontaneamente a marzo 2020, per rispondere al quesito sul ruolo delle terapie croniche con ACE inibitori e sartani sull’andamento clinico e la prognosi dell’infezione da COVID-19, uno degli esempi migliori di esperienza RWE nel nostro Paese.
Nel concreto, il progetto ha coinvolto otto regioni e ha utilizzato un software comune (ShinISS) per l’analisi di dati per una serie di studi, come il rischio di sviluppare infezione da SARS-COV-2 o modificare prognosi in pazienti con COVID-19, associato ad uso pregresso di clorochina/idrossiclorochina in pazienti reumatici, di ACE inibitori/sartani in pazienti cardiopatici o di vaccini anti-influenzale, BCG e antipneumococcico nelle popolazioni fragili.
Altri esempi di utilizzo della Real World Evidence durante la fase più acuta della pandemia sono stati il progetto MOVID (Monitoraggio e valutazione dei livelli essenziali di assistenza nel corso dell’epidemia da COVID-19) o il progetto REMEDIO della Società Italiana di Farmacologia (SIF), studio nato con l’obiettivo di migliorare l’appropriatezza prescrittiva nell’ambito della medicina generale e ridurre il rischio di insorgenza di reazioni avverse da farmaci.
«Purtroppo durante la pandemia da COVID-19, a causa del grosso flusso di notizie e ricerche scientifiche, alcuni studi pubblicati anche su importanti riviste scientifiche internazionali sono stati poi ritirati per la loro scarsa attendibilità. Per evitare questi spiacevoli “incidenti” è necessario che si cimenti a condurre studi sui dati di RW solo chi ha acquisito le competenze necessarie», sottolinea Gianluca Trifirò.
«Ad aumentare l’affidabilità degli studi basati sulla RWE è la consistenza dei dati: se lo stesso studio è stato condotto in diverse parti del mondo, portando ad analoghi risultati, sarà sicuramente più attendibile di altri portati avanti da un unico team di ricerca».
«Il trial clinico – sottolinea il docente -, durando in media alcuni mesi e non coprendo un arco temporale di uno o due anni, può difficilmente valutare gli effetti a lungo termine di un farmaco. In questo caso, uno studio di RWE può essere di grande aiuto. Così come lo sarà per comparare l’effetto di un numero elevato di farmaci: i trial clinici, di solito, paragonano l’effetto di una determinata terapia con quello placebo. È inverosimile che la casa farmaceutica produttrice investa del denaro per comparare il proprio farmaco con quelli prodotti da altri».
«Ancora, i dati del mondo reale ci permettono di valutare l’uso del farmaco così come avviene in pratica clinica, mentre le condizioni del trial clinico sono “ideali”, costruite ad arte dallo sperimentatore. Tuttavia, nonostante l’esistenza di linee guida per la realizzazione di studi di RWE, come accaduto anche nei mesi scorsi, i risultati ottenuti non sempre sono attendibili. Per questo – conclude il farmacologo – è necessario ampliare l’offerta formativa in materia, così che si dedichino a queste ricerche solo i professionisti altamente specializzati».
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