Leoni (FNOMCeO): «Personale sanitario citato ben poco». Manfellotto (Fadoi): «Serve piano a fisarmonica per governare l’aumento e la riduzione dei posti letto»
La crisi del governo Conte complica, e di molto, il cammino del Recovery Plan. Ma i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che è lo strumento attuativo del fondo europeo, sono stati già elaborati e consegnati. Fra le polemiche. Anzi, molti dei motivi che hanno spinto alcuni esponenti della maggioranza ad aprire la crisi sono proprio relativi alla non condivisione delle ragioni del piano. Gli investimenti in sanità programmati con i fondi della UE e i fronti aperti fra problemi e polemiche sono stati illustrati e commentati durante il webinar “Recovery Fund, Investimento in Salute e sostenibilità futura del SSN”, ospitato e promosso da Motore Sanità.
Sono ben 13 i capitoli di spesa sui quali il Recovery va ad insistere: oltre 1,15 miliardi riguardano gli standard per l’assistenza territoriale; 143 milioni di euro per la governance del dato e la digitalizzazione della sanità più altri 2,5 miliardi per la “casa di cura in digitale”, uno spazio di triage avanzato e adeguato alle nuove tecnologie; 5 miliardi di euro sono destinati alle case di comunità con i medici di Medicina Generale; 4 miliardi di euro per i presidi di degenza temporanea; 1,5 miliardi per le nuove RSA; 1 miliardo per la cura sul territorio delle persone con disturbi mentali; infine, 2,5 miliardi per la prevenzione e promozione della salute con occhio alla digitalizzazione e sostenibilità ambientale.
Trova spazio anche uno dei temi più discussi durante l’epidemia da Covid-19: previsti infatti 670 milioni per la rete dei centri territoriali per il contrasto alla povertà sanitaria, 500 milioni per la tutela della salute nella scuola, 1 miliardo per la rete consultoriale per la medicina di genere. Un capitolo a parte meritano i quasi 40 miliardi per l’edilizia sanitaria (34 miliardi di dotazione) e gli oltre 3 miliardi per il contrasto alla migrazione sanitaria, uno dei temi più rilevanti soprattutto per le regioni del Sud Italia. Si tratta in un certo modo dei “fondi dello scandalo”, visto che sarebbero parzialmente sovrapponibili a quelli del MES che, come è stato illustrato dai relatori, continua a provocare perplessità e sfiducia da parte di molti. Il Recovery Plan è composto in parte da finanziamenti a fondo perduto e in parte da soldi a mutuo.
Investimenti e idee sono tanti, dunque. Risulta allora importante, se non imprescindibile, il tema della governance. Chi sovrintende alla distribuzione del flusso di denari? «Al governo che deve consultarsi con Parlamento e regioni, che però hanno un ruolo meramente consultivo», spiega Giorgio Albé, avvocato. «Ma risulta cruciale la leale collaborazione fra tutti i livelli istituzionali in campo – aggiunge -. Il governo ha presentato la bozza di piano e già alcuni commissari europei, primo fra tutti Paolo Gentiloni, hanno detto che la bozza non è sufficiente. Le regioni, a cui compete poi il livello sanitario, hanno indicato delle prospettive di investimento. Ma se si vuole fare un passo avanti è imprescindibile una cabina di regia. Se non c’è un ente dove si realizza la leale collaborazione, la decisione non potrà che essere governativa».
Spazio, come dicevamo, anche ai temi della telemedicina, dove sono stati affermati alcuni concetti ormai consolidati. Giovanni Leoni, vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, ha sottolineato: «Arriva una pioggia di soldi dall’Europa ma sono necessari dei progetti adeguati, perché l’Europa controlla. Bisogna avere concretezza e progettualità reale e in tutti questi progetti il personale sanitario è citato ben poco. Ci sono interventi strutturali, digitalizzazione, telemedicina: io sarei già contento se dalle mie parti ci fosse la condivisione online degli esami del sangue».
«La tecnologia è un fattore abilitante», ha dichiarato Dario Buttitta, direttore generale Pubblica Amministrazione e Sanità di Engineering Spa: «In Italia si parla di telemedicina da 10-15 anni, ma di per sé non risolve i problemi. Servono cambiamenti strutturali e di pratiche profondi per avanzare su questi fronti. Sarebbe interessante anche concentrarsi sul nuovo regolamento europeo per certificazione del software in sanità come dispositivo medico, che sarà applicato dal maggio prossimo e per il quale le aziende sono pronte; e sul sistema di procurement della pubblica amministrazione che va migliorato perché l’innovazione si compra con iter molto veloci».
Sul piano ospedaliero la discussione si sviluppa sulle parole di Dario Manfellotto, presidente della Fadoi: «L’afflusso non governato al pronto soccorso è stato uno dei problemi della pandemia Covid-19, insieme alla concentrazione su reparti iperspecialistici per poi arrivare ad ospedali sanatori per una patologia che, si è visto, in realtà è multisistemica. Serve invece una collaborazione relativa all’area medica, un piano a fisarmonica che governi l’aumento e la riduzione dei posti letto, serve prendersi cura di quelli che sono i “figli di un dio minore”, ovvero i pazienti non Covid: parliamo di 700mila ricoveri di medicina interna in meno. In ospedale serve la collaborazione fra specialisti e abbandonare la logica del budget: i fondi del Recovery devono aiutarci a cambiare logica, dalla logica del bilancio a quella della tutela della salute».
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