Il parere della psicoterapeuta: «Giusto proporre strumenti alternativi a quelli scientifici. E la metafora del panda rosso è efficacissima nel mostrare l’enormità del cambiamento puberale»
Ormoni in subbuglio, difficoltà nella relazione coi genitori, simbiosi con il gruppo di pari. Ma anche pulsioni sessuali, mestruazioni e tutto ciò che riguarda il tema della pubertà e dei suoi stravolgimenti, incarnati da un enorme panda rosso. Sono gli ingredienti esplosivi di Turning Red (sugli schermi italiani Red), il nuovo lungometraggio firmato Disney Pixar, che ha messo d’accordo i critici ma spaccato il pubblico.
Tra chi ha apprezzato l’espediente narrativo con cui queste tematiche sono sbarcate nell’universo del cartone animato e chi ha ritenuto troppo esplicita la naturalezza con cui si affrontano argomenti che hanno a che fare con la sessualità delle adolescenti. La tradizionale funzione pedagogico-educativa affidata al lungometraggio animato attraverso metafore ed espedienti narrativi sta entrando in una nuova fase? Lo abbiamo chiesto alla psicologa Mirta Mattina, coordinatrice Gruppo di Lavoro ‘Psicologia e salute perinatale’ presso l’Ordine degli Psicologi del Lazio.
«È la prima volta – afferma – che questi temi vengono trattati in modo così diretto ed efficace in un film di animazione. È giustissimo e doveroso non lasciare che gli adolescenti restino soli alle prese con trasformazioni che spesso percepiscono come un tabù o con vergogna. Il fatto che se ne possa parlare in modo anche leggero, allegro e piacevole è fondamentale, anche nella misura in cui negli ultimi anni, in modo esasperato ahimè dalla pandemia, c’è stato un grande incremento del disagio emotivo in età adolescenziale. Avere un riferimento – prosegue Mattina – che non sia scientifico come la lezione di scienze o di educazione sessuale in senso classico, ma che appartenga alla loro stessa fascia d’età e che usi lo stesso loro linguaggio, una trovata efficacissima, in cui riconoscersi e non sentirsi soli. Mi auguro che vedere in famiglia questo film sia utile per aprire un dialogo con i propri figli su argomenti come le mestruazioni e il desiderio sessuale, visto che nel film c’è questo gruppo di ragazzine alle prese con le prime cotte, per i ragazzini compagni di scuola o per gli idoli televisivi».
«Un altro elemento di rivoluzione all’interno del film – osserva la psicologa – è il suo essere interamente declinato al femminile: la protagonista è una ragazzina, con il suo gruppo di amiche e c’è poi, importante, la figura materna. Trattare temi inerenti al corpo, al corpo in trasformazione, al corpo femminile in trasformazione significa infrangere tre tabù in un colpo solo. E poi – aggiunge – il film racconta infatti come quest’evento non venga vissuto solo dalla protagonista ma è qualcosa che apparteneva anche a sua madre, a sua volta aveva dovuto ribellarsi alla propria madre e così via. Quindi è forte la tematica del trovare il coraggio di differenziarsi, affrancarsi anche da un modello genitoriale che non significa scartarlo o rinnegarlo, ma prendere ciò che di buono viene dalla famiglia (l’amore, la protezione, i valori) affermando al contempo la propria personalità».
«La metafora funziona soprattutto perché pone la trasformazione su due piani – spiega Mattina -. In primis quello corporeo: non è casuale che il panda sia enorme e ingombrante, esattamente come enorme e ingombrante è il modo in cui le adolescenti percepiscono il loro corpo e ogni minima trasformazione che lo accompagna, persino un brufolo o un pelo di troppo. Poi c’è il piano della trasformazione emotiva: il panda viene fuori quando le emozioni prendono il sopravvento, dovute agli stravolgimenti ormonali e all’esigenza di affermare la propria personalità anche confrontandosi con i modelli familiari. E qui il film compie un’altra operazione interessante – osserva – perché ci spiega come questi aspetti di esplosione emotiva vengano in qualche modo repressi dalla famiglia e dal contesto sociale, spingendo a un rituale che scacci via il “panda”, e quello che di rivoluzionario fa la protagonista è non accettare questa imposizione ma dimostrare che attraverso il riconoscimento e l’accettazione di questa di parte di sé è possibile poi controllarla e renderla funzionale. Non è reprimendo le emozioni che ci si afferma, ma gestendole e canalizzandole».
«Un altro elemento importantissimo del film – aggiunge Mattina – è la funzione protettiva del gruppo di pari nell’età adolescenziale, un messaggio ancora più forte perché arriva dopo due anni di rapporti sociali molto ridotti. Questo viene evidenziato perché le amiche della protagonista sono affettuose, unite e presenti, ma soprattutto – conclude la psicoterapeuta – sono l’elemento a cui la protagonista ricorre come risorsa interiore per aiutarsi ad auto-regolare quella parte di sé così selvaggia e “ingombrante” che è necessario integrare nella propria personalità senza sopprimerla».
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