Nel monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe si registra un nuovo incremento in casi positivi e ricoveri ospedalieri. Cartabellotta critica il metodo di attribuzione del colore alle Regioni: «È tecnicamente complesso, soggetto a numerosi “passaggi” istituzionali»
Ancora un incremento nel trend dei nuovi positivi, secondo il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe. Dal 4 al 10 novembre, 235.634 casi in più con quasi 60mila tamponi in più rispetto alla scorsa settimana. Cresce anche il tasso di positività, che arriva al 27%. Crescono del 41,1% i casi attualmente positivi (590.110 vs 418.142) e, sul fronte degli ospedali, si registra un ulteriore aumento dei pazienti ricoverati con sintomi (28.633 vs 21.114) e in terapia intensiva (2.971 vs 2.225); incrementano del 70% i decessi (2.918 vs 1.712).
In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:
Rispetto alla settimana precedente in quasi tutte le Regioni si rileva un lieve rallentamento dell’incremento percentuale dei casi che potrebbe dipendere sia dall’effetto delle misure di contenimento introdotte a fine ottobre, sia dalla saturazione della capacità di testing, visto che i casi attualmente positivi continuano ad aumentare ovunque. Destano particolare preoccupazione i tassi di occupazione ospedalieri: in 16 Regioni è stata superata la soglia di saturazione del 40% dei posti letto in area medica e in 11 Regioni quella del 30% per le terapie intensive.
Altro dato critico sulla gestione e sull’evoluzione dell’epidemia è il numero degli operatori sanitari contagiati dal momento che «negli ultimi 30 giorni – spiega il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta – si sono verificati 19.217 contagi, rispetto ai 1.650 dei 30 giorni precedenti. Oltre al rischio di focolai ospedalieri, in RSA e in ambienti protetti, preoccupa l’impatto sul personale sanitario, già in carenza di organico oltre che provato dalla prima ondata».
Anche il colore di rischio delle Regioni e le modalità della sua attribuzione sono stati oggetto di critiche nei giorni scorsi. Secondo alcuni esperti, i 21 parametri utilizzati per la classificazione sarebbero troppo tecnici e troppo dipendenti dalla completezza dei dati, che difficilmente le Regioni provvedono.
«L’attribuzione dei colori alle Regioni – ha spiegato Cartabellotta – viene effettuata utilizzando due parametri principali: lo scenario identificato dai valori dell’indice Rt e la classificazione del rischio attraverso i 21 indicatori del DM 30 aprile 2020. Tuttavia, il valore di Rt è inappropriato per informare decisioni rapide perché, oltre ad essere stimato sui contagi di 2-3 settimane fa, presenta numerosi limiti». In particolare, Rt:
«In questa fase di drammatica crescita dei contagi, rapida saturazione degli ospedali e impennata dei decessi – conclude Cartabellotta – il sistema di monitoraggio che informa le decisioni politiche secondo il Dpcm del 3 novembre 2020 non è uno strumento decisionale adeguato. È tecnicamente complesso, soggetto a numerosi “passaggi” istituzionali, risente di varie stratificazioni normative, attribuisce un ruolo preponderante all’indice Rt che presenta numerosi limiti e, soprattutto, fotografa un quadro relativo a 2-3 settimane prima. Ovvero, usando lo specchietto retrovisore, invece del “binocolo, si rallenta la tempestività e l’entità delle misure per contenere la curva epidemica. Senza un immediato cambio di rotta sui criteri di valutazione e sulle corrispondenti restrizioni, solo un lockdown totale potrà evitare il collasso definitivo degli ospedali e l’eccesso di mortalità, anche nei pazienti non Covid-19».
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