La Fondazione Gimbe avverte: è iniziato l’atteso incremento di nuovi casi di Covid-19. In crescita del 20% in 41 province in cui sono state prese misure ad hoc e istituite zone rosse. La variante inglese avanza, mentre i vaccini ritardano. Le dosi del primo trimestre non sono ancora arrivate tutte e le regioni procedono a velocità troppo diverse
Nella settimana 17-23 febbraio usciamo dal mese di stabilità e vediamo il primo incremento di nuovi casi rispetto alla settimana precedente. Secondo i dati della Fondazione Gimbe dagli 84.272 di sette giorni fa si è passati a 92.571 nuovi casi, a fronte di un numero ancora stabile di decessi (2.177 vs 2.169). In lieve riduzione i casi attualmente positivi (387.948 vs 393.686), le persone in isolamento domiciliare (367.507 vs 373.149) e i ricoveri con sintomi (18.295 vs 18.463), mentre risalgono le terapie intensive (2.146 vs 2.074).
In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:
«Dopo 4 settimane di stabilità nel numero dei nuovi casi – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – si rileva un’inversione di tendenza con un incremento che sfiora il 10%, segno della rapida diffusione di varianti più contagiose». Rispetto alla settimana precedente, infatti, in 11 regioni aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti, e in 10 regioni sale l’incremento percentuale dei casi totali. Sul fronte ospedaliero, l’occupazione da parte di pazienti Covid supera in 4 regioni la soglia del 40% in area medica e in 8 regioni quella del 30% delle terapie intensive, che, a livello nazionale, dopo 5 settimane di calo fanno registrare un’inversione di tendenza.
Preoccupa la progressiva diffusione della variante inglese, che sta determinando impennate di casi che richiedono un attento monitoraggio per identificare tempestivamente dove attuare le zone rosse. «Secondo le nostre analisi – spiega il presidente – l’incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente è l’indicatore più sensibile per identificare le numerose spie rosse che si accendono nelle diverse regioni».
In particolare, nella settimana 17-23 febbraio in ben 74/107 Province (68,5%) si registra un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente, con valori che superano il 20% in 41 Province (tabella 2). «Questi dati – commenta Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe – confermano che, per evitare lockdown più estesi, bisogna introdurre tempestivamente restrizioni rigorose nelle aree dove si verificano impennate repentine. Temporeggiare in attesa dei risultati del sequenziamento o di un consistente incremento dei nuovi casi è molto rischioso perché la situazione rischia di sfuggire di mano».
La continua revisione al ribasso, documentata dai quattro aggiornamenti ufficiali delle forniture attese, in soli due mesi ha quasi dimezzato le dosi previste per il primo trimestre 2021 che sono precipitate da 28,3 a 15,7 milioni. «Una riduzione di tale entità – commenta Cartabellotta – se da un lato è imputabile ai ritardi di produzione e consegna da parte delle aziende, dall’altro risente di irrealistiche stime di approvvigionamento del Piano vaccinale originale». Inoltre, delle dosi previste per il primo trimestre 2021, al 24 febbraio (aggiornamento ore 08.01) ne sono state consegnate alle Regioni solo un terzo: per rispettare le scadenze nelle prossime 5 settimane dovranno essere consegnate in media 2,3 milioni di dosi/settimana.
Nelle ultime due settimane preoccupante frenata anche sul fronte delle somministrazioni, per difficoltà organizzative legate all’avvio della vaccinazione di massa. «Non a caso – sottolinea Gili – è stato somministrato solo il 14% delle dosi di AstraZeneca, destinate a persone “fuori” da ospedali e RSA come insegnanti e forze dell’ordine di età <65 anni». Notevoli le differenze regionali: se Toscana (64%), Valle d’Aosta (41,2%), P.A. di Bolzano (37,6%) e Lazio (25%) hanno somministrato almeno un quarto delle dosi consegnate da AstraZeneca, 5 regioni non hanno nemmeno iniziato e 2 hanno somministrato meno dell’1% delle dosi consegnate. «Di conseguenza – puntualizza Cartabellotta – dai primi posti in classifica tra i Paesi europei conquistati nella prima fase della campagna vaccinale, l’Italia ha perso numerose posizioni perché non tutte le regioni erano pronte per la vaccinazione di massa».
Al 24 febbraio hanno completato il ciclo vaccinale con la seconda dose oltre 1,34 milioni di persone (2,25% della popolazione), con marcate differenze regionali: dal 1,58% dell’Abruzzo al 4,17% della P.A. di Bolzano. «Se l’obiettivo della prima fase della campagna vaccinale – spiega il Presidente – era proteggere, oltre al personale sanitario e socio-sanitario, le persone più fragili (ospiti Rsa e over 80), aver somministrato oltre 655 mila dosi (17,7%) al personale non sanitario stride con l’esigua copertura degli over 80: su oltre 4,4 milioni solo 380 mila (8,6%) hanno ricevuto la prima dose di vaccino e circa 127 mila (2,9%) hanno completato il ciclo vaccinale. Un’inversione di priorità, non prevista dal piano vaccinale, che sta ritardando la protezione della categoria che ha pagato il tributo più alto in termini di vite umane».
«Per uscire dalla pandemia – conclude Cartabellotta – è necessario un netto cambio di passo del Governo Draghi. Innanzitutto, incrementare le forniture lavorando ad accordi vincolanti tra Europa e aziende produttrici ed eventuale produzione conto terzi in Italia, oltre ad accelerare le somministrazioni attraverso uno stretto monitoraggio regionale per identificare eventuali criticità. In secondo luogo, le Regioni devono applicare con massima tempestività e rigore le zone rosse locali per evitare lockdown più estesi e arginare gli effetti della terza ondata. Infine, Governo e Regioni devono concertare una programmazione di riaperture a medio-lungo periodo, condividendo con la popolazione obiettivi realistici per un graduale ritorno alla normalità, evitando di fissare scadenze illusorie, perché l’agenda del Paese è ancora dettata dal virus».
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