Rivincita dei generici durante la crisi Covid. Nel rapporto Nomisma la richiesta delle aziende: difendere la biodiversità di produzione
Erano stati quasi “dimenticati”, certamente era difficile che se ne rimanesse privi. Quei farmaci dai nomi complessi (rocuronio, cisatracurio, midazolam, propofol) iniettivi per la maggior parte, che fungono alle prestazioni della terapia intensiva e che da marzo 2020 hanno visto un aumento di richieste che arriva a sfiorare il 782% per il rocuronio e il 128% per la morfina. Una ribalta improvvisa che, secondo il rapporto Nomisma per Egualia, ha portato alla luce un’esigenza. Quella di mantenere in vita una “biodiversità di produzione” indispensabile alla sostenibilità del SSN, non solo in casi straordinari come quello della pandemia.
Sotto la lente – in una survey che ha coinvolto direttamente le imprese associate a Egualia – le strategie utilizzate per gestire l’alto grado di complessità e l’urgenza produttiva registrata tra febbraio e aprile. Nella prima fase emergenziale, nel periodo di massima criticità, il 58% delle imprese ha visto aumentare la domanda di farmaci e di queste ben il 93% è riuscita a soddisfare completamente o parzialmente l’aumento della domanda; inoltre, il 58% del totale ha riorientato la produzione verso le categorie di prodotti a maggior rischio di carenza.
Riguardo al grado di intensità con cui le aziende hanno messo in atto diverse strategie per incrementare la produzione, il 71% ha indicato di aver fatto ricorso alle scorte di magazzino, il 57% di aver usufruito di deroghe emergenziali da parte delle autorità per velocizzare la disponibilità di prodotto sul mercato, il 57% di aver aumentato i turni di lavoro e previsto straordinari per il personale, il 21% di aver impegnato nuovo personale per la produzione, il 50% di aver utilizzato la leva dell’importazione, e il 14%, infine, di aver acquistato nuovi macchinari.
Lo studio mette in luce anche le criticità di un periodo complesso come quello che stiamo vivendo. Oltre il 57% delle imprese ha indicato di essere stata ostacolata dalla penuria o assenza di elementi necessari alla produzione; il 73% di aver avuto problemi ad approvvigionarsi di principi attivi; il 54% ha avuto la stessa difficoltà con gli intermedi di sintesi; il 43% ha lamentato interruzioni anomale della supply chain. Le attese degli operatori per l’immediato futuro si concentrano sul rendere la catena di approvvigionamento più sicura e meno soggetta a fluttuazioni (96%) cui si aggiunge il desiderio di moltiplicare il numero delle fonti di approvvigionamento lungo ogni fase produttiva diversificando il rischio (88%).
Rispetto ai farmaci di vecchia generazione, per il 38% delle aziende intervistate sarebbe necessaria una revisione dei criteri di prezzo per questi prodotti da parte degli ospedali. Altri, 27%, sono favorevoli all’introduzione di meccanismi per l’abbattimento dei costi di produzione (attraverso sgravi fiscali) e infine una parte ridotta indica la possibile soluzione nella destinazione di sovvenzioni statali per le imprese.
«Non è un caso se le richieste delle aziende convergono su un limitato numero di correttivi ritenuti però indispensabili – ha spiegato Lucio Poma, capo economista di Nomisma -. La quasi totalità reclama catene di approvvigionamento più sicure e meno soggette a fluttuazioni, un numero di fonti di approvvigionamento adeguato lungo tutte le fasi produttive per diversificare il rischio, l’accorciamento della catena grazie all’incremento della produzione europea». «Si parla di pianificazione della sanità del futuro, ridisegnando un sistema di offerta su basi radicalmente nuove rispetto al passato – ha proseguito Poma – ma non è possibile ridefinire il sistema sanitario senza ridefinire anche il sistema di regole della produzione dei farmaci che lo sostengono». «La pandemia ha scombussolato le carte e anche le regole del gioco – ha concluso – e questa è un’occasione unica per abbracciare il cambiamento tecnologico di Industria 4.0 su cui si giocherà le sorti competitive di questo mercato nel prossimo decennio».
In ospedale i farmaci generici rappresentano circa il 30% delle forniture a volumi e solo il 2,4% a valori, ma sia l’andamento della percentuale dei lotti non aggiudicati (23% del totale dei banditi nel 2019) che il tasso di partecipazione alle gare (ovvero il rapporto tra offerte presentate e lotti banditi, in diminuzione e fermo a 1,15) testimoniano la crescente difficoltà da parte delle aziende a trovare condizioni sufficienti per l’avvio della competizione.
Le gare al massimo ribasso hanno determinato la progressiva flessione della concorrenza: i numeri dicono che a rischiare di andare deserte sono soprattutto le gare per le forniture dei prodotti più datati che hanno subito una inarrestabile erosione dei prezzi e la cui produzione potrebbe finire con l’essere inibita da un insufficiente livello di remuneratività. Ma sono gli stessi farmaci che si sono confermati essenziali nella gestione della pratica clinica soprattutto nella crisi epidemiologica ancora in corso.
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