Salute 29 Dicembre 2020 13:40

Report Osmed 2019, Italia nella fascia peggiore per antibiotico resistenza

Acquisti aumentati a marzo con l’avvento della pandemia. L’uso inappropriato degli antibiotici con virus e influenze è ancora alto, specie al Sud. Il fantasma dell’antibiotico resistenza si fa più reale. Magrini: «Occorrono riduzioni del 50% negli utilizzi»

Report Osmed 2019, Italia nella fascia peggiore per antibiotico resistenza

In Italia l’uso inappropriato di antibiotici supera ancora il 25% per malattie comuni come influenza, raffreddore, tonsillite e cistite non complicata. È il responso preoccupante del rapporto Osmed “L’uso degli antibiotici in Italia 2019”, presentato dall’Agenzia italiana del farmaco questa mattina. Il nostro Paese si mantiene ancora sopra la media di consumo europea, sebbene rispetto al 2018 non ci siano differenze sostanziali.

In totale nel 2019 sono state usate 21,4 dosi ogni mille abitanti. Per il 73% a carico del Sistema sanitario nazionale ed erogati dalle farmacie, per il 18% acquistati privatamente e per un restante 8,9% forniti da strutture sanitarie pubbliche. Il consumo territoriale, che comprende tutte le fonti di erogazione appena elencante «nel 2019 si è mantenuto superiore rispetto alla media europea», si legge nel report. Mentre il consumo ospedaliero è «sostanzialmente allineato a quello della media europea, sebbene con alcune differenze nella tipologia di antibiotici somministrati».

Virus e infezioni respiratorie, uso inappropriato

L’utilizzo di antibiotici per infezioni alle vie respiratorie, inappropriato appunto, è stato registrato maggiormente nel sud Italia, nella popolazione femminile o di età avanzata. «È generalmente inappropriato – si specifica – l’uso dell’amoxicillina e dell’acido clavulanico nei bambini (al posto della sola amoxicillina); qualunque antibiotico a seguito di una diagnosi di influenza, raffreddore comune o laringotracheite acuta, l’impiego di fluorochinoloni e cefalosporine in presenza di una diagnosi di faringite e tonsillite acuta; l’impiego di macrolidi come prima linea di trattamento della faringite e tonsillite acuta (a causa dell’elevato rischio di sviluppare resistenze); nella cistite non complicata l’uso in prima linea di qualsiasi antibiotico appartenente alla classe di fluorochinoloni».

Attenzione ai bambini: per il 50% almeno un antibiotico nel 2019

Un’attenzione che va fatta specialmente sui bambini. Gli antibiotici restano, infatti, i farmaci più prescritti nella popolazione pediatrica. «Il 40,9% della popolazione pediatrica (0-13 anni) – recita il report – ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici nel corso dell’anno. Il maggior livello di esposizione si evidenzia nella fascia compresa tra 2 e 6 anni. Oltre il 40% delle prescrizioni nella popolazione pediatrica non ha riguardato un antibiotico di prima scelta in base alla classificazione dell’Oms».

Un utilizzo che si può in parte spiegare con «l’elevata incidenza delle malattie infettive in questa fascia d’età», ma non solo. A molto contribuiscono «la difficoltà a effettuare una diagnosi microbiologica dell’infezione, la preoccupazione da parte dei pediatri di una scarsa compliance per antibiotici che richiedono 2 o 3 somministrazioni giornaliere e infine le pressioni da parte dei genitori, che inducono spesso il pediatra a una scarsa aderenza alle raccomandazioni delle linee guida esistenti».

Gli antibiotici di prima linea, ovvero quelli designati dall’Oms per la cura specifica di una malattia, sono sempre la prima soluzione da adottare da parte dei professionisti, ricorda l’Aifa. «Anche perché consentono di ridurre il rischio di reazioni avverse e lo sviluppo di resistenze batteriche».

Antibiotico resistenza, il grande nemico

«Le attitudini prescrittive dei medici e le differenze socio-demografiche e culturali dei diversi contesti geografici incidono in maniera significativa sui consumi, rivelando margini di miglioramento nell’uso appropriato di questi farmaci», è la conclusione del report. Ma l’uso inappropriato degli antibiotici ha una conseguenza che non è più sottovalutabile: concorre cioè ad aggravare il problema della resistenza batterica agli antibiotici, «rendendo sempre meno efficaci farmaci che in molte situazioni rappresentano dei veri e propri salvavita».

Anche il fatto che il consumo di antibiotici trovi il suo picco naturale nei mesi invernali è correlato con l’uso improprio degli stessi nei mesi di sindromi influenzali. Le quali, si sottolinea, «non richiedono nella maggior parte dei casi l’impiego di antibiotici per la loro origine di natura virale (salvo casi clinici particolari e eventuali complicanze batteriche), l’aumento così significativo delle prescrizioni di antibiotici in coincidenza con i picchi influenzali è quindi spia di inappropriatezza nei consumi».

Con la pandemia, picco di acquisti per antibiotici a marzo ma non servono

Anche la pandemia di Sars-CoV-2, con la relativa malattia Covid-19, ha fatto registrare un aumento dell’acquisto di antibiotici da marzo in poi. «L’incremento degli acquisti registra un picco nel mese di marzo 2020, con un valore raddoppiato rispetto al 2019. I macrolidi (usati per le malattie infettive) mostrano un incremento del 77% rispetto al 2019, con l’azitromicina che fa registrare un aumento del 160%». «Il consumo di antibiotici registrato nel primo semestre 2020 nell’ambito dell’assistenza convenzionata è stato pari a 13,2 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti, in riduzione del 26,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – osserva il documento -. Per quanto riguarda gli acquisti diretti si rileva una lieve riduzione pari all’1,3%, con ampie differenze a livello regionale».

È arrivato, a siglare l’incontro sul rapporto, il commento di Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa. «L’antibiotico resistenza – ha detto – è una grande emergenza globale, soprattutto oggi che siamo alle prese con una pandemia. L’Italia è nella fascia peggiore in termini in resistenza agli antibiotici, sia a livello ospedaliero che nelle terapie intensive dove i livelli di utilizzo sono medio alti. L’uso degli antibiotici va rivisto perché, per avere un impatto sul fenomeno, servono drastiche riduzioni dell’uso dell’ordine del 50% e non del 3-4%». Nei prossimi mesi si provvederà a creare in Aifa un’unità di crisi pensata ad hoc per arginare questo problema.

 

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