Sarà commercializzata nel 2020, già partita l’asta. Il segretario dell’Associazione dei Medici per l’Ambiente Italia spiega i dubbi sulla rete di quinta generazione: «Ci sarà una moltiplicazione dei ripetitori. Servono pratiche di monitoraggio parallele a questa enorme dilatazione dell’esposizione all’elettromagnetismo»
È già sperimentato in molti paesi d’Europa e sarà alla base della prossima generazione di rete mobile. Parliamo del 5G, la tecnologia che assicurerà una connessione sempre più veloce e che aumenterà la qualità del servizio, oltre ad essere alla base della Internet of Things e di tante tecnologie a supporto della telemedicina. E la commercializzazione si avvicina: ieri, nell’asta delle frequenze per il 5G, Tim per ora l’ha spuntata su due blocchi generici nella banda 700 MHz, in uno nella banda 3700 MHz e uno nella banda 26 GHz. Il minimo di incasso garantito per lo Stato è di 2,48 miliardi di euro. «Le infrastrutture del nostro tempo sono la banda ultra larga e il 5G e devono essere il volano di un nuovo miracolo economico», ha detto il Ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio.
Con l’arrivo delle innovazioni, però, arrivano puntuali anche i timori di potenziali danni per la salute. Non sfugge a questa regola anche il 5G che, in effetti, registra una frequenza delle onde elettromagnetiche più elevata rispetto alle tecnologie precedenti e che arriva fino alle decine di gigahertz (GHz), ossia corrispondenti a lunghezze d’onda dell’ordine del millimetro o poco inferiori. Inoltre le onde impiegate dal 5G hanno una minore capacità rispetto alle tecnologie precedenti di penetrare attraverso l’aria, la vegetazione e le pareti degli edifici, richiedendo dunque una più elevata presenza di micro-antenne. Fattori su cui i medici da mesi stanno mettendo in guardia, tanto che lo scorso settembre 170 scienziati da 37 paesi hanno chiesto all’Unione europea di bloccare lo sviluppo della tecnologia 5G in attesa che si accertino i rischi per la salute per i cittadini europei. Una richiesta a cui si è accodata anche l’ISDE Italia, l’International Society of Doctors for the Environment. «Le prime evidenze che stanno venendo fuori dalla sperimentazione del 5G sono abbastanza preoccupanti. Sono state segnalate alterazione dell’espressione genica, effetti sulla cute, effetti sulla proliferazione cellulare, sulla sintesi di proteine, sui processi infiammatori», spiega a Sanità Informazione il dottore Agostino Di Ciaula, internista della ASL Barletta-Andria-Trani e Segretario Scientifico e Presidente del Comitato Scientifico ISDE.
Dottore, perché il 5G può essere pericoloso?
«Per vari motivi. Intanto ci sono già numerose evidenza scientifiche che mettono in relazione genericamente emissioni da campi elettromagnetici ad alta frequenza e ed effetti biologici sugli esseri umani. Indipendentemente dal rischio di cancro, ci sono studi che mettono questa nuova forma di inquinamento in relazione con rischi della fertilità, con conseguenze neurologiche e metaboliche, soprattutto in età infantile. Su questo panorama di fondo, che è caratterizzato tra l’altro da limiti di legge che non tutelano affatto la salute umana, si è iscritta questa nuova realtà del 5G. Nel 2017 in diversi paesi della Comunità europea, compresa l’Italia, è stata avviata una sperimentazione che ha previsto l’utilizzo di frequenze di campi elettromagnetici mai sperimentate prima su così larga scala. Si utilizzano in una prima fase frequenze superiori ai 3GHz, che sono preliminari all’introduzione delle frequenze tipiche del 5G, che saranno oltre i 30 Gigahertz, le cosiddette onde millimetriche. Questa sperimentazione è stata già avviata in Italia in tre grosse aree geografiche nel 2018, ha interessato circa 4 milioni di persone ed è preliminare alla commercializzazione in larga scala entro il 2020. Il problema è che sui rischi di fondo dei campi elettromagnetici si inserisce questa enorme moltiplicazione dei dispositivi. Lei pensi che l’AgCom, il Garante delle comunicazioni, ha calcolato che ci saranno in Italia circa un milione di dispositivi per kilometro quadrato, con un incremento abnorme del traffico. Alla luce delle evidenze scientifiche che abbiamo a disposizione è difficile pensare che questo non possa causare effetti biologici sugli esposti».
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Lei sostiene che questo aumento dei microripetitori è in effetti una cosa di cui non si conoscono gli effetti sulla popolazione…
«Assolutamente no. Noi partiamo da dati di fatto ormai consolidati: il primo è che le onde elettromagnetiche ad alta frequenza causano effetti biologici soprattutto in termini di stress ossidativo, che lei sa è alla base di numerose patologie croniche e dello stesso cancro. Poi causa alterazioni dell’espressione del genoma, alterazioni della fertilità, conseguenze neurologiche. Ci sono numerosissime evidenze che documentano danni del neurosviluppo comportamentali, persino danni metabolici, ecc. Da un lato ci sono gli effetti biologici che sono stati ben documentati dalle evidenze scientifiche. Dall’altro abbiamo dei limiti di legge (quelli imposti a livello internazionale dall’ICNIRP, International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), che valutano soltanto gli effetti termici acuti delle onde elettromagnetiche e non gli effetti biologici e le esposizioni croniche. Ci sono evidenze, anche in questo caso, che hanno dimostrato effetti biologici per esposizioni a campi elettromagnetici centinaia di volte inferiori ai limiti di legge, soprattutto nei feti e nei bambini. Ci sono addirittura studi che, seppure da confermare, documenterebbero un aumento dell’antibiotico-resistenza e quindi un effetto sui microrganismi. A questo si somma l’incertezza delle frequenze legate al 5G, che sono onde millimetriche che non sono mai state utilizzate prima con una diffusione e con una intensità così elevate».
Voi chiedete una moratoria di questa sperimentazione?
«Le evidenze preliminari sugli effetti del 5G sono abbastanza preoccupanti. Sono state segnalate alterazione dell’espressione genica, effetti sulla cute, effetti sulla proliferazione cellulare, sulla sintesi di proteine, sui processi infiammatori, per cui a nostro parere è quantomeno imprudente avviare un’esposizione di questo tipo senza tenere minimamente in conto le possibili implicazioni di tipo sanitario. Ovviamente nessuno vuole fare una crociata contro la tecnologia. Noi riteniamo sia etico non aspettare dimostrazioni a posteriori ma quanto meno gestire il rischio con metodologie che puntino alla prevenzione primaria. Il principio di precauzione dovrebbe quantomeno imporre prudenza e l’avvio di adeguate pratiche di monitoraggio ambientale e sanitario parallelamente a questa enorme dilatazione dell’esposizione all’elettromagnetismo».
Lei ha parlato di silenzio della politica, piuttosto strano visto che questa tecnologia è alle porte…
«Assolutamente sì. Questa purtroppo non è soltanto una caratteristica italiana. Noi come ISDE abbiamo diffuso vari appelli a livello nazionale. Con i colleghi di ISDE International abbiamo diffuso appelli simili a livello internazionale insieme ad altre associazioni ambientaliste e ad altri autorevoli ricercatori di tutto il mondo. In tutto il mondo si riscontra una bassa sensibilità della politica sui rischi del 5G. Adesso, in alcuni paesi europei, si incomincia a prestare attenzione ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici in genere, ci sono delle iniziative (per esempio in Francia) per tutelare bambini in ambito scolastico, ma assolutamente nulla sul 5G».
È vero che ci sono paesi dove si parla anche di vietare il 5G?
«Ci sono state iniziative pubbliche, soprattutto negli Stati Uniti, ci sono stati alcuni Stati dove associazioni, soprattutto di consumatori e ambientaliste, hanno chiesto delle limitazioni a livello locale. A livello nazionale ancora niente. La sperimentazione è stata avviata nel 2017 e, entro nel 2020, il 5G sarà commercializzato in larga scala».
Alcuni dicono: anche del telefonino si diceva che dovesse far male invece non è vero…
«Queste affermazioni non sono in linea con le evidenze scientifiche più recenti. La determinazione della IARC (International Agency for Research on Cancer) che classifica come possibili cancerogeni i campi magnetici è del 2011. Dopo il 2011 sono state pubblicate altre evidenze che hanno rafforzato la relazione di rischio tra l’esposizione ai telefonini e alcuni tumori come glioma, meningioma, schwannoma tra le quali quella, recente, dell’Istituto Ramazzini. Al di là di questo, non dobbiamo lasciarci fuorviare dalla “cancrocentricità”. Il cancro è una evenienza che sembra molto probabile ma è soltanto la punta dell’iceberg. Perché le incertezze che ci sono ancora nel rapporto tra esposizione a campi elettromagnetici e cancro non ci sono per una serie di altri problemi come la fertilità. Ormai ci sono pochissimi dubbi che l’esposizione all’elettromagnetismo causi alterazione della fertilità soprattutto maschile, così come conseguenze sul neurosviluppo. Ci sono recentissime evidenze che hanno registrato persino alterazioni anatomiche e studi che hanno documentato nei bambini alterazioni metaboliche. Il problema vero dei nostri tempi non è solo il cancro ma sono le malattie croniche degenerative».