Un rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che mette insieme la letteratura scientifica europea sul tema, mostra che le scuole non sono più pericolose delle loro stesse comunità se vengono adottate le misure di distanziamento e igiene
Scuole aperte o chiuse, fa davvero tanta differenza nella propagazione del virus? Un rapporto dell’ECDC (European center for diseases prevention and control) sembrerebbe suggerire di no. Confrontando le scelte fatte dai singoli Paesi europei, la principale causa di infezione da Sars-CoV-2 per i più giovani non risulterebbe essere l’ambiente scolastico. E con l’applicazione di distanziamento sociale e misure igieniche sarebbe ancora più difficile. Inoltre, come uniche misure adottate, le chiusure delle scuole non mostrerebbero di avere influenze importanti sulla riduzione di circolazione della malattia.
Una prima conferma arriva dagli studi incrociati, che continuano a mostrare come bambini e ragazzi siano i meno colpiti dalla malattia da coronavirus. Nella maggior parte dei casi si oscilla tra manifestazioni asintomatiche e paucisintomatiche, caratterizzate principalmente da febbre e tosse. In percentuale, l’Europa ha registrato il 3% di bambini dai 4 agli 11 ospedalizzati e il 4% dai 12 ai 18, contro il 10% da 0 a 4 anni. I bambini mostrano di possedere carica infettiva, si legge nel documento, ma non è chiaro se siano in grado di diffondere il virus più o meno degli adulti.
Una raccolta incrociata di dati tra vari Paesi, compresa l’Italia, ha mostrato una tendenza a una proporzione minore di anticorpi da Covid-19 in bambini e adolescenti rispetto agli adulti. L’unico studio che ha mostrato di discostarsi, registrando una percentuale praticamente identica tra i due gruppi, è stato quello svedese dove le scuole sono rimaste sempre aperte.
Su una survey inoltrata dall’ECDC a tutti i Paesi d’Europa, 15 hanno risposto. Sei di loro hanno rilevato focolai negli ambienti scolastici contro nove che non ne hanno registrati. I sei che hanno riportato dei cluster corrispondono ai Paesi che hanno applicato chiusure meno serrate o non hanno mai chiuso completamente le scuole. In tutti i casi segnalati, i focolai non superavano mai le 10 persone e includevano pochissimi casi di trasmissione secondaria (ovvero all’interno delle famiglie). I restanti Paesi avevano già provveduto a chiudere le scuole e non hanno quindi rilevato dati efficaci. Quelli che hanno operato chiusure momentanee hanno comunque ribadito l’assenza di focolai.
I risultati nella letteratura scientifica dei singoli Paesi hanno dimostrato come la trasmissione di Sars-CoV-2 tra i bambini a scuola risulti essere inferiore rispetto ad altri virus respiratori come l’influenza. Dalla Francia, nello specifico, è arrivato uno studio che ha seguito e testato tutti i contatti avuti in tre giorni di scuola da un bambino di nove anni positivo, mostrando che non aveva trasmesso la malattia a nessuna delle persone frequentate. Così in Australia, dove il contact tracing su 15 scuole tra elementari e licei in cui 9 studenti erano risultati positivi, ha trovato solo un caso di contagio su 735 ragazzi.
Nel rapporto di contagio tra minori e adulti, tutti gli studi che puntavano a verificare contagi da bambino a personale scolastico hanno mostrato l’assenza sostanziale di trasmissione. Portando alla conclusione che gli adulti non sono maggiormente a rischio nell’ambiente scolastico rispetto alle proprie case.
Dato che tutti i Paesi hanno implementato interventi di prevenzione non farmaceutica, e che a volte li hanno allentati quando le scuole hanno riaperto, è difficile valutare il vero impatto della chiusura e dell’apertura delle scuole sulla trasmissione di SARS-CoV-2 all’interno della comunità. Poiché le scuole sono parte integrante delle comunità che servono, i risultati degli studi sulle epidemie nelle scuole sono difficili da distinguere da focolai concomitanti nelle comunità.
Tuttavia, un rapporto da Israele ha sottolineato l’importanza della rigorosa attuazione del distanziamento fisico e della riduzione dell’esposizione negli ambienti scolastici in cui il Covid-19 sta circolando. Nello studio si rilevava un iniziale grande focolaio in una scuola 10 giorni dopo la prima riapertura con i dispositivi di protezione e regole di minima interazione. All’interno gli autori commentavano la difficoltà nel mantenere il distanziamento correttamente e il mancato uso di mascherine a causa del caldo, insieme all’uso costante dei sistemi di aria condizionata.
La Danimarca ha riaperto il 15 di aprile asili e scuole elementari, senza riportare focolai. Le classi sono state dimezzate mantenendo due metri di distanza tra i bambini. Molte delle ore di lezione sono state fatte all’aperto. In Olanda si è ritornati tra i banchi l’11 maggio, con distanziamento obbligatorio per i piccoli ma non per gli adolescenti. L’Islanda ha mantenuto le scuole aperte in primavera senza imporre distanziamento, se non agli adulti, e senza riduzione di attività. Restava obbligatoria la disinfezione costante. In tutti i casi l’incidenza di virus sotto i 15 anni è rimasta bassa.
A proposito di mascherine, inoltre, l’ECDC ne consiglia l’uso solo nelle scuole secondarie, mentre nelle primarie ne raccomanda l’utilizzo solo a insegnanti e personale, oltre al distanziamento. In generale, il focus non dovrebbe essere puntato sulle mascherine come unica misura ma su un insieme di norme facili da rispettare efficacemente per bambini e ragazzi, consiglia l’ECDC.
Come evidenziato nel contesto svedese, in cui le scuole sono state sempre aperte, e da un’analisi del lavoro svolto tra i gruppi vulnerabili nell’UE/SEE, potrebbero esserci altre ragioni al di là della prevenzione del Covid-19, che possono essere importanti per i responsabili politici quando si valuta se chiudere o aprire scuole.
Ragioni che includono problemi di salute fisica e mentale, risultati scolastici e la capacità dei caregiver di adempiere agli obblighi di lavoro. Sulla base delle prove disponibili, è importante che le misure non farmaceutiche nella comunità – come il distanziamento, il divieto di assembramenti, l’igiene delle mani e la quarantena spontanea se sintomatici – rimangano parte integrante per impedire alle scuole di diventare un contesto per accelerare la trasmissione in avanti.
Se queste misure sono in atto nella comunità e se le politiche di controllo delle infezioni, tra cui la pratica dell’igiene delle mani e la permanenza a casa per studenti e personale con sintomi, vengono applicate anche nelle scuole stesse, la probabilità di trasmissione di Covid-19 nell’ambiente scolastico non è superiore a quella che c’è nella comunità in generale.