In occasione dell’incontro “La ricerca e l’innovazione italiana, il valore della sostenibilità” il CEO del gruppo farmaceutico Ugo Di Francesco racconta il percorso che ha portato alla certificazione B Corporation: «Significa che l’azienda deve operare con un modello che da un lato deve generare un profitto e ritorno per gli azionisti ma allo stesso tempo deve restituire e generare valore per il mondo esterno»
Un parterre d’eccezione ha preso parte all’evento organizzato dal Gruppo farmaceutico Chiesi a Palazzo Wedekind a Roma dal titolo “La ricerca e l’innovazione italiana, il valore della sostenibilità”. Un’occasione per porre l’attenzione sul tema della sostenibilità per lo sviluppo del settore farmaceutico e per rafforzare la sinergia fra Industria e Istituzioni, in vista delle prossime sfide sociali ed economiche, ma anche per fare il punto sul settore della ricerca e dell’innovazione e su quali strategie adottare per potenziarlo.
Tra gli ospiti il Ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia e la titolare delle Infrastrutture Paola De Micheli ma anche Tarcisio Bertone, Cardinale Segretario di Stato Emerito di Sua Santità, Fabiola Bologna (M5S), Commissione Affari Sociali della Camera, Claudio Durigon (Lega), Commissione Lavoro della Camera, Andrea Mandelli (Forza Italia) Commissione bilancio della Camera e Presidente FOFI, Francesca Moccia, Vicesegretario Generale Cittadinanzattiva, Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione Univerde.
I numeri parlano di un’azienda in salute con oltre 5700 dipendenti che investe tanto in ricerca: gli investimenti hanno superato la soglia dei 382 milioni di euro (21,6% del fatturato) con all’attivo 47 progetti di ricerca. Non ultima, Chiesi ha ottenuto la certificazione B Corporation, rilasciata dall’ente no profit B Lab, quale azienda impegnata a migliorare la qualità della vita delle persone agendo in modo responsabile nei confronti della società e dell’ambiente. Di tutto questo abbiamo parlato con Ugo Di Francesco, CEO Gruppo Chiesi.
Dottore, voi investite oltre il 20% del vostro fatturato nella ricerca. Cosa si può fare anche a livello statale per incentivare l’innovazione farmaceutica?
«Innanzitutto quando parliamo di innovazione a mio parere bisogna fare una differenziazione tra il concetto di invenzione e di innovazione. L’invenzione è legata al singolo, a una idea geniale, a un evento che avviene temporalmente in un dato momento. L’innovazione invece è un processo continuo, è un modo di lavorare, di pensare, di organizzare le aziende, un modo di favorire un progresso scientifico, nel nostro caso un processo tecnologico che è a step incrementali. Quindi l’innovazione nella sua essenza è una innovazione incrementale ed è quella che deve essere riconosciuta e deve essere incrementata maggiormente a livello finale in termini di accesso al mercato e rimborsabilità dei farmaci. Per fare questo cosa si può fare? Ci sono due-tre cose molto semplici: da un lato c’è un settore farmaceutico che è un settore che per definizione è orientato a medio-lungo termine. Per sviluppare un farmaco ci vogliono mediamente dai 12 ai 15 anni. Un tema fondamentale è che ci siano delle regole certe e durature che non cambino nel tempo, uno snellimento della burocrazia e chiaramente delle attività a livello istituzionale che supportino la ricerca scientifica. Un ultimo tema importante è quello di fare sistema: in Italia esistono e c’è un’eccellenza a livello scientifico in ogni settore. Il problema è che molte volte noi come azienda fatichiamo un po’, per motivi strutturali e culturali ma anche per aspetti legislativi e mancanza di flessibilità, a creare sistema tra un mondo accademico-universitario, quello imprenditoriale e anche il mondo economico e finanziario insieme al mondo istituzionale. Tutti insieme lavorino per fare sistema e permettano al Paese di progredire e di poter competere a livello internazionale».
Voi siete un gruppo globale e avete una certificazione importante, la B Corporation. Cos’è e perché è così importante?
«La certificazione B Corp è un punto d’arrivo, per certi aspetti è stato un momento finale di un percorso che ci ha impegnato per quasi due anni. L’arrivo a questo primo obiettivo è legato anche alla storia della nostra azienda. È una storia che ha nell’innovazione una parte di DNA principale ma una parte anche nell’essere radicata su un territorio come Parma e che storicamente ha dedicato una grandissima attenzione a quelli che sono i temi della sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale: la nostra azienda può giocare un ruolo importante sul territorio. All’interno di questo percorso a un certo punto ci siamo interrogati su cosa potevamo fare non solo per adottare questi principi in maniera più strutturata ma per farli propri nel nostro modo di pensare, operare, lavorare. Abbiamo quindi iniziato un percorso che è partito adottando 9 dei 17 principi delle Nazioni Unite come obiettivi del 2030, i famosi Sustainable Development Goals. Su questi 9 elementi abbiamo costruito un piano strategico in cinque anni e abbiamo iniziato un percorso che ci ha portato prima a modificare il nostro statuto sociale da Società Spa a società Spa e Società benefit per poi arrivare alla certificazione B Corp. Un obiettivo impegnativo che ci ha occupato per due anni: significa che l’azienda deve operare con un modello che da un lato deve generare un profitto e ritorno per gli azionisti ma allo stesso tempo deve restituire e generare valore per il mondo esterno sia a livello mentale che a livello sociale, di territorio e di comunità. Questo è un cambiamento culturale, non è solo un obiettivo raggiunto. È un qualcosa che andrà ad incidere nel futuro della nostra azienda dove questi due elementi dovranno essere sempre di più integrati e devono diventare parte integrante del nostro modo di operare di tutti i giorni».