Il professore di medicina Traslazionale e di Precisione Alessandro Laviano: «Gli studi sulla nutrizione clinica sono epidemiologici e per questo poco considerati. I trial clinici costerebbero decine di milioni di euro e le risorse non ci sono»
«Se tutti i pazienti con tumore del colon allo stadio tre seguissero una dieta prevalentemente mediterranea la mortalità potrebbe essere ridotta del 38%». È Alessandro Laviano, professore associato al dipartimento di medicina Traslazionale e di Precisione dell’università Sapienza di Roma, membro del team di ricerca internazionale coordinato da Valter Longo ideatore della dieta cosiddetta “mima digiuno” (GUARDA L’INTERVISTA A VALTER LONGO DI SANITA’ INFORMAZIONE), ad esporre le conclusioni di un recente studio epidemiologico dagli straordinari risultati.
Eppure, queste evidenze, come altre ottenute in ambito nutrizionale, non sempre trovano una reale applicazione terapeutica: «Spesso – ha commentato Laviano – esiste un divario tra le evidenze scientifiche raggiunte e quelle che poi vengono concretamente considerate durante il percorso di cura di un paziente». Un gap riscontrabile in molti ambiti, compresa la branca della nutrizione clinica. «Diversi studi – ha spiegato lo specialista – hanno dimostrato sia il ruolo della nutrizione per la prevenzione di molte malattie, che la sua capacità di aiutare i pazienti ad ottenere una maggiore efficacia dai trattamenti a cui si sottopongono e ad accelerare i tempi di recupero».
Tutti risultati sorprendenti, ma scarsamente considerati. «Le motivazioni che ne ostacolano l’applicazione – ha precisato il professore – sono molteplici. Il primo motivo è di natura culturale: dedichiamo poco tempo ad aggiornarci sulla letteratura scientifica. Il secondo è da ricercare nella modalità in cui vengono condotte le ricerche in materia di nutrizione clinica. Nella maggior parte dei casi si tratta di studi epidemiologici e non clinici. Uno studio epidemiologico, per quanto condotto su un universo di riferimento ampio – ha specificato Laviano – non avrà mai la stessa forza di uno studio prospettico, randomizzato e controllato. I trial clinici, – come ad esempio quelli farmacologici – costerebbero decine di milioni di euro, risorse difficilmente ottenibili in campo nutrizionale».
Ostacoli che per il professore Laviano potrebbero essere superati focalizzando la ricerca verso parametri diversi da quelli che attualmente sono presi in considerazione, capaci di dimostrare la vera “forza” di uno studio in materia di nutrizione clinica. «I Patient reported outcomes (i risultati riferiti al paziente, ndr) dovrebbero diventare il fulcro delle nostre ricerche – ha commentato il professore associato al dipartimento di medicina Traslazionale e di Precisione -. Grazie alla nutrizione clinica è possibile migliorare la qualità della vita, diminuire il numero di ricoveri e aumentare l’efficacia delle terapie. Numerosi dati dimostrano come la nutrizione, pur non curando malattie già presenti, sia in grado di rendere i trattamenti molto più efficaci. Un risulto capace, già da solo, di produrre un duplice impatto positivo: da un lato pazienti più in salute e, dall’altro – ha concluso Laviano – meno spese per il Sistema Sanitario Nazionale che, laddove è evitabile, non dovrà fare ulteriori investimenti in trattamenti lunghi o ripetuti ».