L’autorevole rivista scientifica dedica un dettagliato articolo alla crisi della scienza in Italia. Dal 2008 il budget a disposizione delle università si è ridotto di circa un quinto. L’economista Mario Pianta: «Siamo sull’orlo del collasso»
«Italian election leaves science out in the cold». Il titolo dell’articolo della rivista Nature, firmato da Alison Abbot, non lascia spazio a dubbi: gli scienziati e i ricercatori italiani non nutrono grandi aspettative dalle prossime elezioni, chiunque le vinca. E la scienza rischia di rimanere «fuori al freddo». Come in parte il tema della sanità, anche il tema della ricerca scientifica sembra essere sparito dai radar della campagna elettorale, ad eccezione di quello sui vaccini, di cui spesso si parla a sproposito. I ricercatori italiani temono che i tagli al settore e il declino dell’interesse verso la scienza continueranno indipendentemente dall’esito del voto del 4 marzo. Nature evidenzia come la scienza abbia avuto appunto pochissima visibilità in queste settimane di intenso dibattito politico, nonostante gli allarmi di esperti ed economisti sullo stato precario del sistema di ricerca italiano.
L’allarme sulla ricerca italiana lo lancia, senza giri di parole, Mario Pianta, economista dell’Università di Roma Tre, che compila le statistiche sul nostro Paese in tema di ricerca e sviluppo (R&S) per la Commissione europea. «Siamo sull’orlo del collasso», afferma Pianta.
A partire dalla crisi economica del 2008 la spesa dell’Italia in ricerca, già bassa, è diminuita del 20% in termini reali, ossia di ben 1,2 miliardi di euro, e nel 2016 ammontava a soli 8,7 miliardi. Il budget a disposizione delle università si è ridotto di circa un quinto – a 7 miliardi di euro – così come il numero di professori a livello nazionale. Il finanziamento agli istituti di ricerca pubblici non è superiore a quello del 2008, con un calo del 9% in termini reali. E il deficit dell’Italia suggerisce come sia improbabile che la situazione migliori presto. Dal 2008 hanno lasciato il Paese più scienziati di quanti ne siano arrivati, secondo le statistiche dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. La spiegazione è variegata: in questo ambito l’Italia può vantare aree di eccellenza, come la fisica delle particelle e la biomedicina. Ma, a differenza di molti altri Paesi europei, negli ultimi decenni non è riuscita a modernizzare il suo sistema scientifico. Budget costantemente bassi, pratiche di assunzione accademiche complicate, burocrazia paralizzante, sono i maggiori problemi lamentati dagli scienziati.
Nonostante tutto questo la produzione scientifica del nostro Paese tiene e nel complesso procede spedita. Dal 2005, l’Italia ha aumentato la sua presenza all’interno di quel 10% di lavori più citati al mondo. E pubblica più articoli per voce di spesa in R&S rispetto a qualsiasi altro Paese dell’Unione europea, a eccezione del Regno Unito. Eppure, questo «paradosso felice non può continuare», afferma Pianta. «Stiamo andando verso la mediocrità».
Nell’articolo si fa riferimento anche ai programmi elettorali dei vari partiti, soprattutto del Movimento Cinque Stelle, sul tema della ricerca e si cita il lancio dello Human Technopole da parte dei governi Renzi e Gentiloni. Ma il la luce in fondo al tunnel ancora non si vede.