Con il prof. Sava (SIF) analizziamo i rischi di farmaci comuni e l’incidenza di trombosi, comparandola con quella dei vaccini a vettore virale
Le notizie si susseguono in queste ore e da qualche settimana l’occhio dell’opinione pubblica è puntato sui vaccini a vettore virale contro Covid. Prima AstraZeneca, che dopo il collegamento appurato con i casi rari di trombosi, è stata consigliata solo alla popolazione over 60 in molto paesi. Altri, come la Danimarca, hanno invece deciso di sospenderne definitivamente l’uso.
Poi Johnson&Johnson, sospeso ieri preventivamente negli Usa dopo sei casi di trombosi in donne vaccinate. Fatto che ha causato una reazione a catena: ritardo nelle consegne in Europa, valutazione Ema, riunione tra Aifa e Ministero della Salute. Capitolate nella decisione italiana di attendere il pronunciamento europeo, ma di procedere comunque alla distribuzione.
Come era immaginabile, le persone in attesa di vaccinarsi con AstraZeneca continuano a trovare cavilli per poter invece accedere ai prodotti a mRna. Decisioni poco motivate dai dati e molto dalla suggestione, che però pesano fortemente sulla campagna vaccinale e sulla disponibilità di dosi. Tanto da prefigurare una distribuzione delle dosi Vaxzevria in notturna e senza prenotazione a chi volesse approfittarne.
È necessario un confronto dati alla mano sulle effettive possibilità di riscontrare un grave effetto collaterale come la trombosi dopo la somministrazione del vaccino. Per farlo, Sanità Informazione ha scelto un farmacologo esperto, membro della Società italiana di Farmacologia (SIF): il prof. Gianni Sava. Con lui abbiamo cercato di capire cosa sta succedendo, confrontando gli effetti collaterali dei vaccini con quelli di farmaci ben più comuni.
Partiamo da un presupposto fondamentale, invita l’esperto: «Tutti i farmaci hanno eventi avversi». «Di solito – spiega – con il farmaco si fa un bilancio: quanto è utile rispetto agli eventi avversi che può causare. Un farmaco antitumorale per esempio, si accetta che faccia cadere i capelli perché di contro è un salvavita. Se si è malati, si accetta qualche rischio pur di star bene». Una specie di “livello di tolleranza”, dunque.
«Con il vaccino – prosegue – è psicologicamente diverso: la gente è più titubante perché non ha nulla, è sana quando lo assume. Il fatto stesso che gli si dica che il giorno dopo potrebbe avere febbre o qualche capogiro transitorio è già un fastidio che molti non accettano. Con i casi di trombosi si sconvolge ancora di più, nessuno sarà in grado di capire che ci sono quattro zeri dopo la virgola nelle percentuali di probabilità di accadimento. Non coglie che non esiste alcun farmaco “normale” con una possibilità così remota che si verifichi un effetto avverso».
Il problema sta proprio qui, nel non riuscire a comprendere che si tratti comunque di un prodotto estremamente sicuro pur se il rischio non è eliminabile. Un rischio che però si è portati ad accettare con tranquillità con farmaci di uso comune. Per esempio i «farmaci anti-infiammatori non steroidei». «Se guardiamo agli antidolorifici da banco – spiega Sava – si tratta di farmaci che nelle valutazioni critiche sono stati sviluppati cercando di capire se erano capaci di dare meno fenomeni emorragici rispetto a quelli già esistenti».
«Di solito si prendeva l’aspirina come riferimento – prosegue ancora -, si dice che presa con una certa frequenza e con un certo dosaggio ha un certo tipo di eventi avversi relativi alla coagulazione del sangue, anche dovuti alla fragilità dell’endotelio delle vene del digerente, vedendo se i derivati dell’acido propionico come ibuprofene, ketoprofene o napofrene erano meno dannosi in questo senso».
Con tutti questi farmaci si dovrebbe dire che «gli eventi avversi che si possono presentare sono sopportabili, nel senso che se così non fossero non sarebbero autorizzati come farmaci da banco». Tuttavia «pur essendo farmaci da banco, non per questo non sono pericolosi». L’aspirina, sebbene in casi estremamente rari, può causare una patologia simile allo shock anafilattico, legata al suo meccanismo d’azione sull’enzima cicloossigenasi. La tachipirina «per uso cronico può dare una epatotossicità, cioè delle epatopatie molto gravi, che in alcuni casi hanno portato a problemi di intervento chirurgico per trapianto del fegato».
Arriviamo ora alla pillola anticoncezionale. «Questo farmaco – analizza il professore – ha a tutti gli effetti un rischio trombotico dal 1960, quando sono uscite le prime pillole fatte di estrogeni. Si è subito capito e si è visto che c’era il rischio perché è lo stesso meccanismo di funzionamento di questi ormoni che interagisce con i meccanismi della coagulazione del sangue favorendo la formazione di trombi». Ovviamente non tutte le persone che la assumono corrono questo rischio, la probabilità va dallo 0,05 % allo 0,12%. Quindi «due donne ogni diecimila trattate o 12 donne su diecimila, a seconda della sensibilità individuale delle persone». Senza parlare di abitudini sbagliate come quella del fumo, che hanno una incidenza di trombosi dello 0,18%.
Ora veniamo ai vaccini a vettore virale contro Covid-19, qui le cifre diventano molto più piccole. Per AstraZeneca 4 casi su un milione di persone (o,ooo4%). Per Johnson&Johnson 6 casi su 6,8 milioni di vaccinati. Facendo un breve calcolo, «la pillola ha un’incidenza di trombosi di quasi 10mila volte superiore a quella del vaccino AstraZeneca». In più, aggiunge Sava, «gli antinfiammatori delle volte hanno probabilità del 10% che si verifichi un evento avverso più o meno grave. Sono 10 persone su 100 contro 4 su un milione».
Inoltre il confronto non può sfuggire dalle cifre di Covid-19: nei soggetti positivi c’è una elevata probabilità che si verifichino eventi trombotici, soprattutto in coloro che sviluppano una Covid-19 grave e che richiede ospedalizzazione. Ma il ragionamento può essere ampliato. «Al momento – chiarisce l’esperto SIF – in Italia ci sono circa 500mila positivi, quindi lo 0,8% della popolazione e di questi una percentuale vicina al 5% (cioè circa 25.000 persone) possono sviluppare i gradi peggiori della malattia e anche morire. Abbiamo avuto finora 115mila morti, che non è poco. Lo 0,19% della popolazione totale italiana (il rischio di morire, se contagiati, rimane fisso attorno al 3% in Italia). Se vengo contagiato, ho il 5% di probabilità di patologia grave, ma tra questi il 3% di possibilità di morire».
Sava conclude dicendo che è ovviamente necessario prendere in considerazione la casistica rara di eventi trombotici nei vaccini, ma che proprio per la sua rarità sarà forse difficile stabilire perché alcune persone abbiano una reazione così violenta e avversa. Ma un errore fondamentale è stato quello «di diffondere dati scientifici non ancora analizzati all’opinione pubblica», creando timore e ansia. Le nuove indicazioni sul foglietto illustrativo di AstraZeneca di sicuro potranno aiutare. Forte mal di testa, dolore a braccia e gambe, difficoltà di coagulazione, comparsa di lividi sono segnali importanti per prevenire una trombosi fatale.
«Con J&J succederà la stessa cosa accaduta con AstraZeneca: i casi saranno valutati e poi rintrodurranno il vaccino». Se dovesse essere sconsigliato anche questo agli under 60 si seguirebbe il protocollo della casistica. Più saranno fatti approfondimenti più il dato sarà ridotto.
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