Salute 15 Luglio 2022 10:13

Rischio CBRN, Biselli (medico militare): «Addestrare il personale sanitario con esercitazioni pratiche periodiche»

Il medico è responsabile scientifico di un corso FAD sul Rischio CBRN rivolto ai professionisti sanitari per prepararli a gestire le emergenze da un punto di vista clinico e operativo

In relazione alla pandemia di Sars-Cov-2 e all’attuale guerra tra Russia e Ucraina si è tanto parlato di rischio CBRN (Chimico, Biologico, Radiologico e Nucleare) in ambito militare e civile. Ma quali sono le strategie operative e cliniche da seguire – decontaminazione, biocontenimento, utilizzo dei sistemi di protezione del personale sanitario a contatto con i contagiati – e quale la gestione dei pazienti in condizioni di emergenza, sia sul campo aperto che in ambito ospedaliero?

Ne abbiamo discusso con il Dott. Roberto Biselli che ha svolto la sua attività come Ufficiale medico dell’Aeronautica Militare (AM). Il medico ha fatto parte per più di dieci anni del team di Biocontenimento dell’AM per il trasporto aereo di pazienti con malattie infettive altamente contagiose e ha ricoperto incarichi di insegnamento nella Forza Armata in materia CBRN.

Il corso FAD sul rischio CBRN

Il dottor Biselli è anche il Responsabile scientifico di un corso FAD dal titolo “Introduzione al Rischio CBRN (Chimico, Biologico, Radiologico e Nucleare). Principi di gestione operativa e clinica” rivolto ai professionisti sanitari. L’obiettivo del corso è permettere loro di valutare se lo scenario che si trovano di fronte derivi da una delle minacce CBRN. E prepararli a gestire l’emergenza da un punto di vista operativo per poter, chiaramente, prestare i primi soccorsi clinici. Nell’intervista a Sanità Informazione, tratteggia un breve excursus storico del rischio CBRN sia in ambito militare ma soprattutto civile, a seguito di attentati terroristici o incidenti non deliberati.

Il rischio CBRN nella storia

«Il rischio CBRN (Chimico, Biologico, Radiologico e Nucleare) è un argomento sempre più attuale – spiega ai nostri microfoni -. La vecchia guerra NBC era una delle prime materie che si studiavano in ambito militare per essere preparati a mettere in atto le giuste contromisure. Oggi è un problema che riguarda non solo l’ambito militare ma anche e soprattutto l’ambito civile, specie dopo il triste attentato delle Torri Gemelle nel 2001 negli Stati Uniti. A quell’attentato fecero infatti seguito le famose lettere all’antrace che hanno fatto prendere coscienza all’opinione pubblica del fatto che la minaccia biologica era un problema reale e che riguardava tutti. Peraltro non c’è mai stato l’uso sistematico di armi biologiche in una guerra se non episodi sporadici, di scarso significato sugli eventi bellici. Il possibile uso, al contrario, di un aggressivo biologico, come erano le lettere contenenti polvere con spore d’antrace, da parte di gruppi terroristici era un problema per tutta la popolazione, difficile da prevedere e da contenere».

La difesa NBCR

Anche perché, mentre i militari sono addestrati a questa “difesa NBC” – a cui oggi si è aggiunta la sigla R per indicare il rischio radiologico – la popolazione civile non è ovviamente pronta a difendersi. «Anche una cosa apparentemente banale – aggiunge il medico – come indossare una tuta per proteggersi dalle armi chimiche e biologiche necessita di un adeguato addestramento, così come il personale sanitario è addestrato all’utilizzo dei dispositivi di protezione per evitare il contagio di agenti infettivi. E’ però molto più difficile ovviamente, rispetto ad una organizzazione militare, poter pianificare e realizzare in ambito civile, su larga scala, una formazione sull’uso di questi sistemi di contromisure».

Quindi, tornando agli inizi degli anni 2000, ci si è resi conto che l’arma biologica poteva rappresentare, nelle mani di gruppi terroristici, una minaccia per tutti, in qualsiasi scenario della vita di tutti i giorni, uno strumento che poteva essere usato senza nessuna remora morale. «Se volessi fare una guerra – specifica l’esperto – saprei che con un’arma biologica potrei danneggiare il mio nemico ma, d’altra parte non so fino a che punto sarei in grado di controllare questa arma ed essere sicuro che l’agente, anche solo per le condizioni ambientali, non possa poi colpire la mia popolazione, con un vero e proprio effetto boomerang. Al terrorista, invece, interessa provocare panico e mandare in tilt il sistema organizzativo della società che vuole colpire. Le lettere all’antrace – prosegue – provocarono cinque morti in tutto. Sono tanti, anche uno solo sarebbe stato una enormità, ma mentre in un conflitto armato non cambierebbero il destino di una battaglia né tantomeno di una guerra, in ambito civile l’effetto è devastante, crea tanta paura nella gente. E questo è già sufficiente per il terrorista, perché basta anche solo la minaccia di usare quell’arma per destabilizzare il sistema. Inoltre il terrorista non ha remore morali su quante persone può uccidere, o se rimane coinvolto lui stesso o la sua gente. Tutto questo è sufficiente per creare un’ansia enorme nell’opinione pubblica. E non è facile, per chi governa, valutare se e come prendere contromisure. Con il rischio, da una parte di prendere decisioni non adeguate e sufficienti, o dall’altra di spendere risorse inutilmente. E’ essenziale quindi pianificare queste attività e investire, in maniera preventiva, risorse per dispositivi di protezione, materiali ed esercitazioni periodiche nelle varie strutture organizzative.

I rischi della guerra Russa-Ucraina

«Per quanto riguarda l’utilizzo di armi biologiche, non appare verosimile, al momento attuale, che si possa arrivare a tanto, e cioè ad un loro uso deliberato in questo conflitto. Dal punto di vista nucleare un incidente purtroppo può sempre accadere, non in maniera deliberata ovviamente. Siamo pieni di impianti che producono energia nucleare in Europa. Dobbiamo essere sempre pronti quindi al fatto che in un incidente, vicino o più meno lontano dall’Italia, la nube tossica e radioattiva possa arrivare fin da noi. Il nostro paese ha comunque definito piani per prevenire eventuali incidenti nucleari e gestire le emergenze sanitarie.

E sempre in riferimento alle armi biologiche, si riferisce alla pandemia di Sars-Cov-2. «Oggi abbiamo questa, ce ne saranno altre in futuro. La storia ce lo insegna, basta guardarsi indietro. Piccole epidemie ce ne sono sempre, così come Ebola nel 2013-2015. Noi occidentali ci accorgiamo del problema solo quando la cosa ci tocca da vicino. Se rimane confinata a delle regioni lontane dalle nostre, quell’epidemia resta una notizia da telegiornale. C’è gente, però, che lavora ogni giorno per essere pronti ad affrontare queste emergenze».

I piani pandemici

«I piani pandemici sono validi sia per eventi naturali, come una pandemia, che per eventi bellici, sabotaggi intenzionali e rilascio intenzionale di armi biologiche. Mi sembra che ormai il nostro paese abbia piani ben delineati. La mia esperienza da militare mi conferma l’importanza di addestramenti pratici periodici perché l’unica cosa che si può fare è essere pronti nel momento che serve. Mi rendo conto che in ambito civile non sia facile. Negli ospedali, con la grave carenza di personale medico ed infermieristico che c’è, trovare il tempo per addestramenti specifici è complicato. Ma questo è un problema strutturale, e non è certo colpa di chi deve gestire una coperta troppo corta».

I rischi infettivi con lo spostamento di migliaia di persone

«In Italia abbiamo da tempo flussi di immigrazione. E, in rapporto all’entità del fenomeno, il sistema finora ha funzionato bene grazie ai controlli che vengono fatti nei punti dove approdano gli immigrati. Penso che il supporto fornito dalle organizzazioni sia militari che civili, dai Ministeri degli Interni e della Difesa abbia retto molto bene e con ottimi risultati, in rapporto soprattutto alle risorse umane ed economiche a disposizione» conclude.

 

 

 

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