Salute 9 Settembre 2021 16:04

Cardiologia e sport legati (sempre più) a filo doppio. Ecco perché

Corrado (Università di Padova): «I medici dello sport siano formati anche per valutare una risonanza magnetica»

di Federica Bosco
Cardiologia e sport legati (sempre più) a filo doppio. Ecco perché

Prima di iscriversi in qualunque palestra è necessario effettuare l’elettrocardiogramma e presentare un certificato medico. Questo vale a maggior ragione per gli atleti professionisti. Ma quale deve essere, allora, il legame tra cardiologia e sport? Ne parliamo con Domenico Corrado, direttore del master in Cardiologia dello sport dell’Università di Padova, giunto alla quinta edizione, che quest’anno si concentrerà in particolare sugli sportivi colpiti da patologie cardiovascolari conseguenti al Covid.

Professore, che incidenza ha il Covid sul cuore degli atleti?

«Le infiammazioni del muscolo del miocardio e della membrana che avvolge il pericardio spesso sono associate e si manifestano per l’effetto citotossico diretto del virus o in caso di infiammazione mediata da una risposta autoimmune eccessiva. Non si possono prevedere, ma è importante riconoscerli e sapere gestire l’atleta nel caso si manifestino per garantire al meglio la ripresa dell’attività sportiva».

In che modo?

«I protocolli proposti dalla federazione medico sportiva italiana convalidati sono molto rigorosi e prevedono elettrocardiogramma e una serie di test cardiopolmonari a cui vengono sottoposti gli atleti per avere il beneplacito al rientro, ma non sempre le infiammazioni sono visibili».

Allora come devono comportarsi gli atleti che hanno avuto il Covid?

«Ci sono delle linee guida italiane, il famoso libretto rosso con i protocolli da seguire per l’attività sportiva agonistica, che dicono che l’atleta affetto da miocardite o pericardite deve stare fermo da tre a sei mesi. Purtroppo, non sempre ciò accade ed allora il rischio è di esporre un cuore infiammato ad uno sforzo eccessivo che può portare a danni permanenti o in casi estremi alla morte».

Davanti agli occhi di tutti c’è ancora l’arresto cardiaco accaduto al calciatore della nazionale danese Christian Eriksen, anche se è stato appurato che in questo caso il Covid non c’entra…

«Non conosco nello specifico il caso, certo è che ci sono due considerazioni da fare in merito all’episodio accaduto al giocatore danese agli Europei. La prima riguarda l’importanza del defibrillatore sul campo. Finalmente è entrata in vigore la legge sull’obbligatorietà dei defibrillatori non solo in gara, ma anche sui campi di allenamento, e questo permette di intervenire tempestivamente e salvare gli atleti. La seconda riguarda lo screening che oggi in Italia permette di riconoscere gran parte delle patologie a rischio e quindi di prevenire le morti improvvise che infatti sono diminuite, dal 1982 ad oggi, del 90 per cento. Resta ancora però una zona d’ombra che riguarda patologie difficili da individuare come una anomalia cardiaca da cicatrice post miocardite evoluta in maniera silente che può dare origine a eventi acuti gravi. In passato in Veneto è stato fatto uno studio sui casi di morti improvvise durante una manifestazione sportiva per capire se si potessero evitare. Dallo studio è emerso che lo screening italiano, basato sull’elettrocardiogramma, permette l’identificazione precoce dei soggetti a rischio. Il passo successivo è stato di sviluppare un piano di screening a livello europeo fotocopia di quello italiano. Una lunga tradizione che è convogliata verso un master di cardiologia dello sport altamente qualificante per i professionisti».

In che cosa consiste?

«Siamo giunti alla quinta edizione e anche quest’anno l’obiettivo è approfondire le conoscenze teoriche e pratiche nella diagnosi, stratificazione del rischio e gestione clinica degli atleti affetti da patologie cardiovascolari con particolare attenzione quest’anno ai soggetti sportivi colpiti da patologie cardiovascolari conseguenti al Covid».

Quali sono le novità che presenterete?

«La principale innovazione riguarda l’impiego della risonanza magnetica per individuare con il mezzo di contrasto quelle cicatrici da miocarditi o pericarditi che altrimenti non si vedrebbero».

Ci sono segnali o campanelli di allarme da non sottovalutare?

«Ad esempio, se un atleta durante l’esame sotto sforzo evidenziasse aritmie dovrebbe essere sottoposto a risonanza magnetica per capirne la natura. C’è però un problema culturale da superare e noi lo stiamo facendo con il master».

In che senso?

«Il medico dello sport, da solo, è in grado di valutare elettro ed ecocardiogramma, quindi oggi si trova nell’impossibilità di valutare una risonanza magnetica. Un gap che alla luce dei fatti deve essere colmato. Con il master lavoriamo proprio in quella direzione così come puntiamo ad una corretta interpretazione dell’elettrocardiogramma».

 

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