L’ex direttore esecutivo dell’Agenzia Europea del Farmaco interviene sulla scelta di ritardare la somministrazione della seconda dose: «Se non si tengono conto dei risultati delle sperimentazioni, abbiamo solo perso tempo». E sui decessi in Norvegia: «Le autorità ci devono alcune risposte»
Per una campagna vaccinale di così vaste dimensioni come quella in corso contro il Covid-19 serve «flessibilità», perché «dobbiamo mettere in conto incidenti di varia natura» come quelli che hanno portato all’ennesimo ritardo nelle consegne dei vaccini della Pfizer. Ritardi che «non spostano una campagna vaccinale».
Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’Agenzia Europea del Farmaco, interviene ai microfoni di Sanità Informazione sul taglio di 165 mila dosi di vaccini annunciato dalla farmaceutica americana lo scorso venerdì e sullo slittamento della distribuzione delle dosi previste per lunedì scorso. Ritardi e disguidi che, come evidenziato anche dall’Ema, sono dovuti all’aumento della produzione che l’azienda sta cercando di portare a regime.
«Il ritardo è dovuto ad un adeguamento della capacità produttiva che era stato annunciato dalla ditta stessa – spiega Rasi -. È un ritardo marginale di una settimana e di un numero di dosi che non sposta una campagna vaccinale. Ma dobbiamo aspettarci incidenti di produzione, nella consegna, nello stoccaggio dei vaccini. Ecco perché le campagne devono essere disegnate con elementi di flessibilità. Dobbiamo anche tenere in considerazione altre variabili legate alle possibili mutazioni del virus che potrebbero imporci campagne più articolate con degli stop e degli aggiustamenti».
Intanto però governo e Regioni hanno annunciato azioni legali contro la Pfizer, mentre il direttore generale dell’Aifa Nicola Magrini, «molto preoccupato» per la situazione, ha voluto evidenziare che si tratta di «un piccolo rallentamento».
Rasi invece si dice «sorpreso» per la scelta di alcuni Paesi, Gran Bretagna in testa, di rimandare la somministrazione della seconda dose di vaccino per consentire ad una platea più ampia di ricevere la prima: «Si chiede una sperimentazione rigorosa di un vaccino e questa viene fatta con un protocollo rigoroso e poi si prendono decisioni politiche che non tengono conto dei risultati ottenuti. In poche parole, significa che abbiamo perso tempo con la sperimentazione».
Ma niente allarmismi: il vaccino Pfizer richiede 21 giorni di intervallo tra la prima e la seconda dose; quello di Moderna ne prevede 28. Nello studio clinico, l’Ema ha però evidenziato che i soggetti cui la seconda dose era stata somministrata al 42esimo giorno dalla prima dose non hanno subito particolari conseguenze né a livello di efficacia né di sicurezza.
«Quindi – chiosa Rasi – diciamo che gli intervalli di 21 e 28 giorni vanno rispettati e le campagne vaccinali vanno pianificate in questo senso. Poi, se per motivi contingenti si deve arrivare a 42 giorni, riteniamo che si possa essere tranquilli. Ma secondo me è sbagliato basare l’intera campagna vaccinale sul ritardo della somministrazione della seconda dose, perché su questo non abbiamo studi sui grandi numeri».
Terza questione emersa in merito ai vaccini anti-Covid in questi giorni è relativa ai 29 decessi verificatisi in Norvegia a seguito della vaccinazione: «Non abbiamo risposte ma abbiamo chiare le domande che andrebbero fatte – il commento dell’ex direttore EMA -. È un segnale il fatto che i decessi si siano verificati nella stessa area geografica. Sarebbe utile capire, quindi, da una parte com’è stato conservato e congelato il lotto in questione e in che modo è stato somministrato il vaccino; e dall’altra sapere se queste persone avessero caratteristiche comuni che potrebbero indicare categorie da non vaccinare».
«Ad esempio – continua Rasi –, sappiamo che un soggetto avesse una polmonite in atto al momento del vaccino, ma tutte le mamme sanno che non si porta un bambino a vaccinare se ha la febbre. Quindi – conclude – credo che le autorità norvegesi ci debbano parecchie risposte».
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