Un’alleanza tra genitori e specialisti per trattare in modo efficace i bambini, tra i 18 e i 36 mesi di vita, con un ritardo nello sviluppo del linguaggio. E’ il servizio “Baby bloom”, lanciato dalla Fondazione Don Gnocchi
Un’alleanza tra genitori e specialisti per trattare in modo efficace i bambini, tra i 18 e i 36 mesi di vita, con un ritardo nello sviluppo del linguaggio. E’ il servizio “Baby bloom”, lanciato dalla Fondazione Don Gnocchi. In Italia il ritardo dello sviluppo del linguaggio interessa circa sette bambini su cento in età prescolare. Campanelli d’allarme, spiegano gli esperti, possono essere il non aver acquisito, intorno ai 12 mesi, una o due parole come “mamma, papà” e non utilizzare almeno 50 parole a 24 mesi. Il percorso si struttura in 15 incontri monosettimanali, inizia con una valutazione della neuropsichiatra infantile a cui segue una valutazione da parte del logopedista e una decisione di incontri con i genitori nel corso dei quali vengono proposte attività che il genitore metterà poi in atto nel contesto familiare.
L’intervento consiste infatti in un “parent training” e prevede l’utilizzo di alcuni sussidi adatti al percorso di cura stabilito. Ma quando un genitore deve iniziare a preoccuparsi? “Parlare in ritardo è abbastanza comune e riguarda circa il 13-20% dei bambini di due anni”, sottolineano Laura Borzaga e Giulia Mantegazza, medici specialisti in neuropsichiatria infantile della Fondazione Don Gnocchi. “Circa il 50% dei bambini supera le proprie difficoltà linguistiche. Questo spiega perché la raccomandazione di attendere è stata popolare per molti anni. Ma ci sono diversi problemi con questo approccio. In primo luogo, chi parla in ritardo – continuano – potrebbe non recuperare completamente il ritardo. Infatti, la presenza di difficoltà linguistiche precoci è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo successivo di un vero e proprio disturbo primario di linguaggio“.
“Parlare tardi può avere un impatto negativo per il bambino già durante gli anni della prima infanzia: potrebbe sembrare frustrato, introverso o aggressivo proprio perché non ha le parole per esprimere sentimenti o desideri”, spiegano ancora le esperte. “Il bambino con difficoltà di linguaggio può inoltre sperimentare difficoltà negli anni della scuola primaria, quando le abilità linguistiche sono fondamentali per il successo scolastico e la socializzazione linguistiche tipiche e quali saranno in seguito diagnosticati con un disturbo del linguaggio”, aggiungono. Per fare fronte a questa situazione serve una presa in carico integrata, che coinvolga tutti gli attori del percorso educativo, abilitativo e riabilitativo.
Attraverso “una piacevole attività di ‘lettura’ condivisa, mediata da un logopedista – spiega la Fondazione Don Gnocchi – i genitori potranno essere i protagonisti di un intervento precoce, breve ed efficace, che cambierà la traiettoria di sviluppo del linguaggio del proprio bambino prima che si instauri un disturbo vero e proprio”. Gli esperti della struttura elencano infine i “campanelli d’allarme” da prendere in considerazione: intorno ai 12 mesi il bambino non ha lallazione sia semplice (lala, dada) che variata (più consonanti insieme “ma-ta-ba”), non lalla per richiedere e mantenere l’attenzione dell’adulto;, non imita i suoni; non ha acquisito 1 o 2 parole “mama, papà”. O ancora: il bambino non dice 3-5 parole a 15 mesi (non importa se la pronuncia è corretta o meno); non conosce/usa 15-20 parole a 18 mesi; a 24 mesi dice meno di 50 parole; non usa combinazioni di due parole; non usa almeno una parola nuova a settimana; preferisce i gesti per comunicare e non vocalizza, non riesce a imitare i suoni o parole semplici, non nomina tre parti del corpo, non fa domande semplici e brevi come ‘cos’è questo?’, non usa consonanti come ‘g,t,f,d’.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato