Salute 9 Marzo 2017 19:12

Salute e barriere, se anche l’ospedale è inaccessibile. Trieste (FIABA): «Con prassi UNI, presa di coscienza di tutti»

«L’accessibilità è un diritto e per garantirlo il lavoro deve essere fatto a 360 gradi», così Giuseppe Trieste, Presidente Fiaba Onlus, all’indomani dell’entrata in vigore della Prassi UNI per l’abbattimento delle barriere architettoniche

Salute e barriere, se anche l’ospedale è inaccessibile. Trieste (FIABA): «Con prassi UNI, presa di coscienza di tutti»

Ripensare alla progettazione delle infrastrutture in ottica ‘universal design‘. Questo l’obiettivo della Prassi UNI (Ente Italiano di Normazione) per l’abbattimento delle barriere architettoniche, recentemente presentata alla Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio di Roma. L’iniziativa è nata a seguito dell’esperienza del concorso nazionale I Futuri Geometri Progettano l’Accessibilità, ideato dal Consiglio nazionale geometri in collaborazione con FIABA Onlus. L’organizzazione senza scopo di lucro, ha come missione la promozione delle pari opportunità per facilitare la vita delle persone diversamente abili, partendo proprio dall’accessibilità degli spazi.

Rendere le aree e gli edifici accessibili a tutti è una vera e propria sfida che assume contorni ancora più ostici se il Paese di cui parliamo è l’Italia. Infatti l’architettura italiana vanta costruzioni ricche di scale, corridoi, porte, arredi, spigoli, materiali lisci e delicati. Inoltre dal punto di vista territoriale le strade sono strette, in molte città i marciapiedi sono piccoli e in alcune aree non ci sono, i passaggi sono pochi e spesso ostruiti. Le criticità appena elencate purtroppo riguardano anche quei luoghi dove le necessità del paziente dovrebbero essere primarie: gli ospedali.

Per entrare nel merito, è interessante citare l’indagine condotta poco tempo fa dalla dalla onlus “Spes contra spem”, in partenariato con l’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Nello studio, condotto per verificare l‘adattabilità degli ospedali alle esigenze delle persone con ridotta capacità motoria, risulta che in Italia, quasi due strutture sanitarie su tre, non hanno un percorso prioritario per i pazienti con disabilità e oltre il 78% degli ospedali non prevede spazi adatti per le persone con disabilità intellettiva, motoria e sensoriale. In quest’ottica FIABA Onlus è attiva da anni per consentire maggiore inclusione e facilitare l’accesso in tutti gli spazi comprese le strutture sanitarie. L’entrata in vigore della Prassi UNI è un grande risultato per l’associazione. Sul tema Sanità Informazione ha intervistato Giuseppe Trieste, il presidente di FIABA Onlus.

La novità della Prassi UNI apre un dibattito molto interessante perché riguarda anche gli ospedali italiani. Che cosa succederà nello specifico?

«La classe di riferimento è un protocollo nazionale per l’accessibilità di tutte le strutture, nessuna esclusa. Ovviamente tutti gli spazi, gli ospedali, gli studi medici specialistici, gli ambulatori e quant’altro, dallo studio del medico di famiglia alle specializzazioni. Quando una persona va in un ospedale o in uno studio specialistico è perché non gode di ottima salute. Per cui è in uno stato di debolezza, spesso è una persona con ridotta mobilità. Di conseguenza, tutte queste strutture dovranno adeguarsi per dare un’accoglienza adeguata e una qualità percepibile da tutte le persone che ne hanno bisogno».

Grazie all’impegno di FIABA, in prima linea in questa battaglia, si è raggiunto questo risultato anche con l’attenzione creata con le istituzioni?

«Indubbiamente si, è dal 2003 che esiste la Giornata Nazionale per l’Accessibilità, il FIABA Day, dedicato all’abbattimento delle barriere architettoniche, di conseguenza siamo lavorando a 360 gradi dalla convention centrale all’amministrazione locale, affinché le città piccole e medio grandi, si adeguino alle normative europee in fatto di accessibilità. Noi abbiamo delle cabine di regia per la total quality, cosa vuol dire? Vuol dire creare qualità per tutte le persone residenti nella loro città, ma soprattutto anche per tutte le persone che si recano per turismo per passare del tempo libero o per qualsiasi altro motivo. Pensiamo alla famiglia, i condomini, un condominio deve essere accessibile a tutte le persone, ognuna per il proprio bisogno perché in un condominio ci sono bambini, adulti, anziani, ultra anziani che ci vivono o che ricevono visite nelle loro case. La classe di riferimento vuole sviluppare una presa di coscienza da parte di tutti, qualunque ambiente deve avere un’adeguata accessibilità».

Considerando che il problema delle barriere architettoniche è presente anche negli ospedali, gli operatori sanitari, in questa ottica, che risposta hanno dato?

«Ci si avvicina al traguardo, indubbiamente riceviamo adesione e pareri positivi, si prende coscienza che se parliamo di una struttura sanitaria o socio sanitaria, questa struttura deve poter raccogliere tutti. L’obiettivo è proprio questo, attraverso la rete nazionale di cabine di regia trasmettere il messaggio, rendere fattibile la presa di coscienza, e incentivare la formazione in merito. Ad esempio, un concorso nazionale da cui scaturisce questa prassi di riferimento con gli istituti per i geometri, vorrebbe dire avere diplomati ogni anno che hanno fatto esperienza durante il periodo scolastico. Attraverso i giovani si cambia la mentalità anche degli stessi professionisti. Si tratta di un lavoro continuo, tutti dobbiamo essere protagonisti della qualità percepita e far sì che man mano che si progettano nuove strutture o vengano ristrutturate, devono possedere requisiti di accessibilità. L’Universal Design, che è un istituto europeo che vuole mettere in evidenza proprio la qualità percepita dalla persona ognuno con la propria diversità, ha questo obiettivo, rendere la persona essere umano universale. Noi ci rendiamo conto che nelle nostre scuole mediamente il 50% degli studenti viene da altre parti del mondo, e questo è un grande stimolo culturale, perché per il bambino della scuola dell’infanzia e dell’elementare, per lui non fa differenza avere un compagno di studi con un colore della pelle o con una religione diversa. Quelli che dobbiamo cambiare siamo noi adulti che dobbiamo mettere in condizione i nostri studenti a ragionare proprio in ottica universale».

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