L’Associazione Medici Endocrinologi si riunisce a Palermo: «Nessuna minaccia per la salute pubblica»
«Arrivano sani ma si ammalano qui, con i migranti non arriva nessuna minaccia alla salute collettiva. Lo sostiene l’Associazione medici endocrinologi che patrocina a Palermo il convegno ‘Migranti e salute: tra prevenzione, cura e fake news», nel corso del quale gli esperti cercheranno di dare risposta ad alcune domande, ovvero: qual è lo stato di salute dei migranti residenti sul territorio nazionale? Quali sono i bisogni di salute degli immigrati? Che tipo di assistenza ricevono? Sono in grado di accedere alle prestazioni sanitarie destreggiandosi tra difficoltà linguistiche e burocrazia? Dai loro Paesi portano malattie da noi ormai scomparse? Sono un pericolo per la nostra salute?
«Il numero dei migranti residenti a vario titolo sul territorio nazionale è pari a circa il 10% della popolazione generale – afferma Piernicola Garofalo, responsabile scientifico del convegno – i livelli e le modalità di assistenza alla salute nelle sue varie declinazioni (prevenzione, diagnosi e terapia) sono estremamente difformi e poco tracciate ma sappiamo che l’integrazione degli immigrati passa anche attraverso l’accesso al sistema sanitario». I migranti, ricorda Enzo Massimo Farinella, direttore della struttura complessa malattie infettive, ospedale Cervello di Palermo, «nell’immediata fase che segue allo sbarco sono sottoposti alle procedure sanitarie che si sviluppano ‘sul molo’ ove i medici della Asp effettuano una prima visita».
«Un capitolo a parte per i bambini stranieri in Italia la cui quota si aggira intorno al 20%, con percentuali in alcuni paesi del nord anche al di sopra del 30%», spiega Milena Lo Giudice, pediatra coordinatore nazionale area etico sociale della Federazione italiana medici pediatri. «Gli stranieri che fanno nascere in Italia i loro bambini ci portano un patrimonio in termini demografici fondamentale, la denatalità italiana ha raggiunto infatti livelli preoccupanti. Il ruolo del pediatra è quello di lavorare nell’interesse del bambino a qualunque etnia appartenga, etnia e non razza essendo risaputo che dal punto di vista biologico esiste un’unica razza umana».
Dalla banca dati dell’associazione Naga onlus di Milano, emerge che il 10% dei pazienti che si sono rivolti all’associazione presenta alla prima visita condizioni cliniche che necessitano di un intervento di secondo livello in ambito ospedaliero. È quindi lecito supporre che in assenza della visita presso il Naga questi pazienti avrebbero continuato a gestire in maniera inappropriata le proprie patologie, fino al ricovero in Pronto Soccorso per la loro prevedibile recrudescenza.
Analizzando le condizioni socioeconomiche, si osserva ad esempio come i pazienti senza fissa dimora, la cui percentuale è passata dal 23% del 2014 al 31% nel 2017, presentano una frequenza di patologie delle vie respiratorie e dermatologiche nettamente superiore ai pazienti che vivono in affitto o presso i datori di lavoro, verosimilmente causate dall’esposizione al freddo e dall’assenza di buone condizioni igieniche. Inoltre, la fragilità delle persone è documentata anche dall’elevata frequenza di disturbi psichici e comportamentali presenti in questo gruppo (10% vs 5.5% negli immigrati in affitto). Ancor più drammatica è la condizione sanitaria dei pazienti con patologie croniche (diabete, ipertensione, etc.), che effettuano controlli saltuari ed inadeguati nel 50% dei casi e non riescono a procurarsi i farmaci quotidianamente nel 20%.
Sono invece estremamente rare le malattie infettive, lo 0,016% di chi si è rivolto al Naga. Il nostro studio mostra, con ricchezza di dati e fuori da ogni pregiudizio, come i cittadini stranieri irregolari a Milano presentano i medesimi problemi di salute della popolazione italiana, ma le loro condizioni esistenziali influiscono sulla frequenza delle patologie. «Possiamo dire – conclude Anna Spada, medico volontario dell’associazione Naga Onlus – che gli stranieri presenti sul territorio italiano non sono una minaccia per la salute collettiva; è invece minacciata la loro possibilità di veder riconosciuti i diritti fondamentali, quale quello alla salute».