Presentata un’indagine ONDA in collaborazione con la SINPF che ricostruisce il percorso del paziente e le difficoltà legate ai servizi territoriali e indaga la percezione dei nuovi servizi assistenziali e delle nuove modalità di presa in carico previsti dal PNRR
Salute mentale: lo stigma permane. E purtroppo anche la scarsa informazione. Così quando emerge la malattia a imporsi è un grande senso di solitudine e di emarginazione, e a lungo andare è sempre più forte il bisogno di una presa in carico complessivamente “umana”, un dato al quale potrebbero dare un’adeguata risposta, se implementate, le Case di Comunità. È questo il quadro che emerge da un’indagine qualitativa sul paziente affetto da psicosi e dai caregiver realizzata da Fondazione Onda e SINPF, Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, in collaborazione con Elma Research.
Secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono circa 24 milioni le persone che nel mondo soffrono di psicosi schizofrenica a un qualunque livello. La malattia si manifesta in percentuali simili negli uomini e nelle donne. Nelle donne si osserva la tendenza a sviluppare la patologia in età più avanzata. In Italia vi sono circa 245mila persone che soffrono di questo disturbo, i cui sintomi più comuni comprendono i deliri e le allucinazioni, ma anche un appiattimento affettivo, anedonia, ritiro sociale, sintomi che esprimono l’assenza o la riduzione di un aspetto del funzionamento mentale. La malattia si manifesta di solito tra i 18 e i 28 anni. L’esordio è frequentemente preceduto da fasi sintomatologiche attenuate in cui la persona si chiude in sé stessa, appare sempre meno interessata al mondo circostante, lascia senza motivo amici e relazioni sentimentali, perde il lavoro o interrompe la scuola.
L’indagine presentata oggi ha voluto ripercorrere il journey del paziente con psicosi schizofrenica, individuare gli eventuali unmet needs legati ai servizi territoriali e indagare la percezione/valutazione dei nuovi servizi assistenziali e delle nuove modalità di presa in carico previsti dalla riforma del PNRR. La narrazione della malattia mentale che emerge sia per pazienti sia per caregiver riporta un forte senso di isolamento e solitudine, a cui si aggiunge lo stigma sociale, che contribuisce a rendere più gravoso il senso di emarginazione della diagnosi psichiatrica.
Fondazione Onda: «Emerge bisogno di normalizzazione della patologia»
«Stigma e mancanza di informazioni nei confronti della malattia mentale contribuiscono al ritardo nell’inquadramento diagnostico e nel referral ai servizi territoriali: il medico di medicina generale, tendenzialmente primo contatto delle famiglie, rischia di essere allertato in ritardo, soprattutto se la sintomatologia è attenuata», commenta Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda, «Emerge un bisogno di “normalizzazione” della patologia, di una sua presa in carico meno psichiatrizzata, più stabile e continua che la equipari alle altre malattie croniche, che consenta una continuità del rapporto con il Centro di Salute Mentale (CSM) durante i trattamenti, al di là dell’aspetto meramente farmacologico. La conoscenza del PNRR, di pazienti e caregiver, rispetto alla gestione della salute mentale è ancora quasi nulla, ma la prospettiva accende aspettative positive. In questo contesto le Case di Comunità potrebbero rappresentare, se implementate, una risposta efficace».
Il PNRR è un tema di cui sfuggono agli intervistati le implicazioni pratiche, in particolare rispetto alla Sanità e alla gestione della malattia mentale. Ma, una volta compreso il piano, emergono reazioni positive rispetto all’ottica di una sanità più vicina alle persone, meno stigmatizzante, e alla gestione semplificata delle emergenze, data la maggiore disponibilità offerta dal servizio: accessibilità delle strutture territoriali h24, 7/7, nell’idea di una prima presa in carico più rapida, efficace e alternativa al Pronto Soccorso o al reparto psichiatrico; una gestione più efficace in caso di ricadute; presenza valorizzante di figure specialistiche e di psicoterapeuti affiancati al MMG, in grado di effettuare una prima valutazione. Le Case di Comunità appaiono come una possibile risposta al bisogno di strutture ‘intermedie’ a connotazione non prettamente psichiatrica, più inclusive e vicine, rispondenti alle aspettative di pazienti e caregiver, un servizio a metà tra l’ambulatorio del MMG e contesti quali i CSM o UONPIA, luoghi meno stigmatizzati, più facili da avvicinare dove individuare precocemente condizioni di esordio o forme attenuate oltre al trattamento in loco dei disturbi affettivi comuni di minore gravità, gestiti da équipe multiprofessionali. Il tutto in stretta collaborazione con la Medicina Generale e la Pediatria di libera scelta, secondo il modello della “Stepped care”.
Inoltre, le Case di Comunità potrebbero rispondere al bisogno di uno spazio aperto e dinamico in cui siano possibili anche iniziative di sensibilizzazione e conoscenza sulla salute mentale rivolte ai giovani, agli adolescenti, ai genitori, e all’opportunità di servizi domiciliari per pazienti in fasi di malattia più delicate, interessante soprattutto per i caregiver. Le Case di Comunità rappresenterebbero infine una struttura più adatta a una prima accoglienza, in fase di esordio, accessibile per gli orari e la prossimità territoriale, più orientata all’ascolto e all’intercettazione del disagio e capace di facilitare la gestione ‘soft’ delle emergenze con risposte contingenti su cosa/come fare a livello pratico, supportando i caregiver nelle crisi e nelle recidive.
«La salute mentale è una priorità di salute pubblica», sottolineano Claudio Mencacci e Matteo Balestrieri, Presidenti SINPF, Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia. «Lo dicono i numeri che solo in Italia vedono dal 20 al 30% ovvero tra 11,8 e 16,5 milioni le persone sofferenti ogni anno di una condizione clinica rilevante riconducibile a disturbi depressivi, ansia grave, psicosi, dipendenze. Urgono quindi interventi strutturali e azioni coordinate di prevenzione, cultura ed educazione a 360 gradi per unire e non frammentare. La proposta avanzata da SINPF con altre Società Scientifiche come la SIP (Psichiatria) è quella di costituire un’Agenzia Nazionale per la Salute Mentale. Il coordinamento con la Medicina generale e la Pediatria nelle Case di Comunità sarà fondamentale per le azioni di individuazione precoce degli esordi psicotici o delle psicosi attenuate».
«Il progressivo peggioramento della salute mentale nell’età evolutiva, adulta e geriatrica, unitamente a un impoverimento del numero degli operatori sanitari e alla limitatezza dei fondi stanziati, necessita interventi correttivi sistemici di riordino per far fronte ai bisogni crescenti di una larga fascia di popolazione fragile», dichiara la Sen.Maria Cristina Cantù, Vicepresidente Commissione Affari Sociali, Sanità, Lavori pubblico e privato, Previdenza sociale, Senato della Repubblica. «In particolare lavorando a un disegno di legge per la prevenzione, protezione e tutela della salute mentale che delinei, stanziando appositi fondi, una rete dipartimentale che si prenda in carico anche il contrasto delle dipendenze, il potenziamento dell’offerta ospedaliera, i requisiti necessari per la gestione residenziale delle persone malate e l’opportunità di un organismo di controllo che coordini gli interventi».
«L’obiettivo è ridurre il divario tra le regioni mediante strumenti che rispondano ai bisogni della persona dal punto di vista sociale, clinico e funzionale» dice. Ugo Cappellacci, Presidente Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati «Grazie ai fondi europei disponibili sarà possibile modernizzare i reparti, rendere più efficienti le prestazioni all’esterno degli ospedali, reclutare personale e offrire prestazioni calibrate sul paziente».
«Le case di comunità sono state inizialmente pensate escludendo la psichiatria e i CPS, quando invece possono rappresentare un momento importante di quella da sempre auspicata collaborazione fra medicina di base e servizi territoriali psichiatrici», commenta Emi Bondi, Presidente SIP, Società italiana di Psichiatria. «La casa di comunità può essere quel “luogo comune” dove attivare la collaborazione, con una presenza al suo interno di operatori dell’equipe multiprofessionale dei servizi territoriali psichiatrici, che possano offrire consulenza alla medicina di base, al fine di intercettare precocemente il disagio ed effettuare la cura in ambiente meno stigmatizzante, delle patologie più comuni. La casa della salute non è invece il luogo adeguato per le urgenze psichiatriche, che devono restare di competenza dei servizi specialistici come quelli presenti in Pronto Soccorso, che sono i soli a poter garantire una risposta adeguata ai casi complessi, sia sul piano comportamentale che spesso di comorbidità organica, come si verifica comunemente nel caso di concomitante presenza di abuso di sostanze».
“L’analisi dei dati del Sistema Informativo Salute Mentale restituisce un quadro di profonde, intollerabili differenze inter-regionali: alcune realtà sono tra le migliori al mondo, altre si trovano in condizioni da Paesi in via di Sviluppo”, conclude Fabrizio Starace, Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, AUSL Modena e Presidente SIEP, Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica. “La priorità è rafforzare l’azione di governance centrale, per garantire su tutto il territorio nazionale l’accesso a cure di qualità, indipendentemente dalla Regione di residenza“.
L’iniziativa è stata realizzata con il patrocino di CARD – Confederazione Associazioni Regionali di Distretto, Cittadinanzattiva, FNOMCEO – Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Progetto Itaca, SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, SIPPS – Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, SIP – Società Italiana di Psichiatria.
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