La Fondazione ha calcolato che nel 2017 il Servizio sanitario Nazionale ha sprecato oltre 21 miliardi di euro. La spesa sanitaria nel 2016 ammonta a 157,613 miliardi di euro, di cui 112,182 mld di spesa pubblica; 45,431 mld di spesa privata. Focus sulla sanità integrativa
È un quadro non privo di criticità quello tracciato dalla Fondazione Gimbe nel suo terzo Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario nazionale presentato a Roma alla Sala Capitolare del Senato. Sotto la lente di ingrandimento dell’associazione presieduta da Nino Cartabellotta la sanità italiana nel suo complesso, il quadro completo delle spese, che ammontano a 157,613 miliardi di euro, e anche le possibili soluzioni per porre rimedio alla crisi di sostenibilità a cui il Sistema sembra andare incontro in un futuro non troppo lontano. Sullo sfondo il definanziamento continuo della sanità in Italia, accentuatosi negli ultimi anni, con il nostro Paese che continua inesorabilmente a perdere terreno nei confronti degli altri Paesi, con una percentuale di Pil e una spesa pro-capite inferiori alla media Ocse e che si avvicinano sempre di più ai Paesi dell’Europa orientale.
«Il nuovo ministro deve decidere se salvare il Servizio Sanitario Nazionale con programmi e azioni coerenti oppure se lasciarlo andare via come un malato cronico che a poco a poco perde le sue capacità», spiega a Sanità Informazione Cartabellotta, che poi elenca i principali punti programmatici su cui ci si deve concentrare: «Uno è quello che riguarda il rilancio del finanziamento pubblico da destinare prevalentemente ai professionisti sanitari, il secondo è quello di ridurre le quantità di prestazioni incluse nei Lea, il terzo è quello degli sprechi dove serve un piano nazionale, il quarto è quello della sanità integrativa che dev’essere riordinata per evitare che diventi sostitutiva tra l’altro pagata con soldi dei contribuenti».
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La Fondazione Gimbe ha calcolato che nel 2017 il Servizio Sanitario Nazionale ha sprecato oltre 21 miliardi di euro, quasi un euro su cinque. Nel documento si sottolinea che la cifra degli sprechi è in calo di 1,3 miliardi rispetto al 2016 e ammonta a 21,59 miliardi di euro erosi da sovrautilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (6,48 miliardi), frodi e abusi (4,75 miliardi), acquisti a costi eccessivi (2,16 miliardi), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (3,24 miliardi), complessità amministrative (2,37 miliardi), inadeguato coordinamento dell’assistenza (2,59 miliardi).
«È difficile fare la lotta agli sprechi se non c’è un centro di coordinamento nazionale e dei centri di responsabilità regionali e locali – spiega Cartabellotta – perché il vero problema è che tutti i sistemi di valutazione delle performance vengono valutati a comportamenti stagni, se invece si creano determinate linee per cui un certo tipo di adempimento regionale è legato a una quota di riparto che non può essere sprecato allora in questo modo si può risolvere il problema, però richiede azioni politiche importanti».
Secondo il rapporto, la spesa sanitaria nel 2016 ammonta a 157,613 miliardi di euro, di cui 112,182 mld di spesa pubblica; 45,431 mld di spesa privata, di cui 5,601 mld di intermediata (3,831 miliardi da fondi sanitari, 593 mln da polizze individuali, 1,177 miliardi da altri enti) e ben 39,830 miliardi a carico delle famiglie. Le stime preliminari dimostrano che il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella out-of-pocket e il 50% di quella intermediata non producono alcun ritorno in termini di salute. In questo quadro, si è progressivamente rafforzato il ‘secondo pilastro’, la sanità integrativa. Il Rapporto analizza in dettaglio il complesso ecosistema dei ‘terzi paganti’ in sanità, le coperture offerte, l’impatto di fondi sanitari e polizze assicurative sulla spesa sanitaria e anche i potenziali effetti collaterali: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei percorsi assistenziali.
Ecco, dunque, la prognosi. Al 2025, secondo le stime del Rapporto Gimbe, il fabbisogno del Ssn sarà di 220 miliardi. Con un incremento stimato della spesa sanitaria totale nel periodo 2017-2025 di 27 miliardi (9 miliardi di spesa pubblica e 18 mld privata) si arriverebbe nel 2025 a poco più di 184 miliardi. A questi si aggiungerebbero circa 15 miliardi dal recupero graduale di risorse da sprechi e inefficienze.
«Il rapporto evidenzia dati di fatto che sono inconfutabili – commenta a Sanità Informazione Guido Quici, Presidente del sindacato CIMO – Quello che mi ha colpito è che il grosso risparmio è stato fatto sul costo del personale. Adesso tutti scoprono improvvisamente che mancano i medici. Noi lo diciamo da anni e non riusciamo ad ottenere nessun risultato concreto. Abbiamo il contratto fermo da dieci anni e sottofinanziato per cui i colleghi tendono ad andare via anziché rimanere nel Ssn: o vanno nel privato o vanno in pensione. Quindi sarà una situazione drammatica tra qualche anno. L’altra cosa che emerge è che occorre ottimizzare l’assistenza sanitaria integrativa, doveva essere già prevista all’epoca della Bindi, con la 502 doveva integrare le prestazioni extra Lea, invece ci rendiamo conto che da integrativa sta diventando sostitutiva e quindi c’è una commistione che crea problemi di disequilibrio nell’accesso alle cure da parte dei cittadini italiani».
Anche il Coordinatore di Cittadinanzattiva – Tribunale dei Diritti del malato, Tonino Aceti, commenta a Sanità Informazione il rapporto Gimbe: «Il dato che emerge è che il nuovo governo deve avere come priorità il Servizio sanitario pubblico e quindi dovrà lavorare in termini di analisi approfondita, dovrà individuare i punti di caduta, i punti di forza e sicuramente dovrà fare una cosa molto chiara e coerente con il programma di governo: rilanciare il finanziamento pubblico del servizio sanitario nazionale. È una delle priorità individuate da Gimbe ma sulla quale noi di Cittadinanzattiva – Tribunale dei Diritti del malato spingiamo sempre perché ci è sempre sembrato il principale perno del servizio sanitario nazionale. L’altro dato di grande evidenza è la necessità di analizzare in modo più approfondito di quanto fatto finora il fenomeno dei fondi integrativi: bisogna andare a guardare dentro, bisogna rendere il lavoro del ministero della Salute ancora più approfondito e trasparente. Bisogna rimuovere i profili di iniquità, e quindi bisogna riportare i fondi integrativi alla loro naturale mission, altrimenti rischiamo di pagare due volte, le agevolazioni, la concorrenza che questi fondi fanno al Sistema sanitario pubblico: questo non fa bene ai cittadini anche perché poi c’è il rischio del consumerismo».