Il progetto dell’ospedale di Torino che punta a sostenere l’umore dei giovanissimi (11-18 anni) che stanno affrontando una diagnosi di cancro e una terapia. Ecco come si delinea
Essere adolescenti ed avere il cancro è una sfida quotidiana che devono affrontare i giovani ricoverati nel reparto di oncoematologia dell’Ospedale Santa Margherita di Torino. Ragazzi dagli 11 ai 18 anni che da un giorno all’altro vedono crollare i propri sogni e sono costretti a fare i conti con medici, cure pesanti e lunghi ricoveri. Un cambio di prospettiva sul mondo che li destabilizza e li rende ancor più vulnerabili. Per questo è nato Robo&Bobo, un programma per mantenere vivi i loro sogni e le loro passioni. Medici e psicologi si sono affidati ad una associazione di professionisti in grado di riempire i vuoti quotidiani che si generano con le lunghe degenze, al fine di ridare colore ad un mondo che agli occhi dei giovani pazienti appare sbiadito.
Un bisogno che ogni anno interessa in tutta Italia oltre 800 adolescenti e che nel 2016 ha fatto sì che la neonata associazione Dear entrasse nell’ospedale Santa Margherita di Torino per aiutare i giovani pazienti di oncoematologia. «Robo&Bobo è un programma di didattica laboratoriale nato in collaborazione con i medici e gli psicologi. Su suggerimento di Franca Fagioli, primario del reparto, abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione su una fascia anagrafica fragile e spesso esclusa dalle attività extracurricolari proposte dall’ospedale», racconta Anita Donna Bianco, designer, presidente di Dear e co-ideatrice di Robo&Bobo.
Pensato per trasformare l’esperienza negativa della malattia in un’occasione per avvicinare alle discipline creative e alle nuove tecnologie i ragazzi preadolescenti e adolescenti in cura per una malattia oncologica, il successo è immediato. Nei primi sei anni sono stati coinvolti 526 partecipanti in più di 1000 ore di laboratori in presenza e online e oltre 40 professionisti multidisciplinari.
«Il nome Robo&Bobo nasce dalla volontà di sottolineare l’incontro tra la tecnologia e l’utenza. Infatti, Robo è un robottino e Bobo un ragazzino – prosegue Anita –. Il programma prevede attività creative e sperimentazione di nuove tecnologie. Percorsi in grado di mitigare il senso di passività che subentra durante le cure, creando al tempo stesso competenze e relazioni». Le attività si svolgono una volta la settimana e la partecipazione è su base volontaria.
«Ogni anno i percorsi didattici che durano dieci mesi, da settembre a luglio, sono rivisti e innovati – spiega la mente del progetto –. Una parte importante prevede di restituire poi all’esterno quanto viene fatto in ospedale». Offrire occasioni per acquisire nuove competenze a giovani costretti a fermarsi per lunghi periodi per la malattia, è l’obiettivo di un programma che oggi è uscito dai confini della oncoematologia del Santa Margherita per contaminare anche la neuropsichiatria infantile. «In quel caso lavoriamo in gruppo e stimoliamo la relazione tra i giovani pazienti», aggiunge l’ideatrice di Robo&Bobo.
Ogni stagione prevede un cambio nei professionisti e nei percorsi didattici. «Quest’anno il tema è l’arte contemporanea – sottolinea Anita –. Non è necessario un talento, chiunque può partecipare per sperimentare. In questo momento è in corso Mountain Care, esperienze per la cura. Cinque laboratori in collaborazione con il Museo Nazionale della Montagna, nell’ambito della mostra The Mountain Touch, per sviluppare un dialogo tra elementi naturali e opere d’arte in un contesto di cura e d’isolamento».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato