A Piazza San Giovanni centinaia di cappelli e magliette: «Basta alle aggressioni e alle campagne denigratorie». L’europarlamentare Bartolo: «Fare il necessario per recuperare fiducia pazienti con ascolto e formazione». Il fondatore Santori: «Il populismo che sminuisce le competenze non ci ha fatto bene»
«Basta con l’odio tra medico e paziente», «è necessario riacquistare fiducia negli operatori che lavorano nella sanità, spesso anche in condizioni difficili», «sono stata operata in un ospedale pubblico e ho ricevuto un servizio straordinario da parte di professionisti di assoluta qualità, e il tutto senza cacciare un soldo». Sono queste alcune delle testimonianze di medici, infermieri e pazienti che hanno preso parte sabato scorso alla manifestazione delle “sardine” a Roma. Una piazza nata solo poche settimane fa e che si è fatta portavoce di un messaggio molto forte, chiaro e condiviso: no al clima d’odio e di intolleranza che stiamo vivendo in questi ultimi tempi.
Un clima di intolleranza che ha colpito, in particolar modo negli ultimi mesi, anche il mondo medico sanitario, sempre più vittima di attacchi (non solo fisici) da parte dei pazienti e della stampa. Aggressioni nei pronto soccorso (l’ultimo esempio in ordine di tempo è di Crotone, ma questo tipo di notizia è ormai all’ordine del giorno) e negli studi privati, escalation di denunce (molto spesso pretestuose, tant’è che nel 90% dei casi circa finisce in un nulla di fatto) nei confronti degli operatori, con conseguente aumento del ricorso alla medicina difensiva (e relativi costi eccessivi per le casse pubbliche), preoccupazione da parte delle associazioni di consumatori per il livello di formazione del personale sanitario. Tutto questo rischia di distruggere definitivamente il rapporto medico-paziente.
E proprio la salvaguardia di questo rapporto, la nascita di un “patto per la salute” tra i pazienti e chi lavora nel mondo sanitario proprio per curare ognuno di noi, è un argomento che ha trovato largo spazio anche in Piazza San Giovanni, con la comparsa di centinaia di magliette e cappellini (con su scritto “Sanità in alto mare: basta odio medico-paziente per una salute di qualità”) volti a sensibilizzare i partecipanti alla manifestazione su un argomento così importante ma, purtroppo, ancora sottovalutato. Insomma, una sorta di manifestazione nella manifestazione.
«Questo clima di odio sdoganato anche alla salute coinvolge anche noi medici e gli altri operatori sanitari – ha spiegato ai nostri microfoni Pietro Bartolo, medico di Lampedusa e parlamentare europeo –. Spesso sfocia in aggressioni che si potrebbero evitare ritrovando la strada maestra del rispetto, anche delle diversità, e recuperando lo spirito della nostra missione. Da parte nostra dobbiamo far di tutto per recuperare la fiducia dei pazienti con l’ascolto e dimostrando professionalità e preparazione facendoci trovare sempre pronti e aggiornati».
Per Mattia Santori, uno dei fondatori del movimento delle “sardine”, il clima di intolleranza verso le istituzioni, o comunque verso quella che fino a poco tempo fa era considerata una delle classi più rispettabili e rispettate del Paese, è stato alimentato da un certo «populismo che tende a sminuire le competenze» e che di sicuro «non ci ha fatto bene». Tant’è che nella sua regione, l’Emilia Romagna, «la sanità raggiunge livelli standard elevatissimi, sia a livello di personale che a livello di servizi», ma a volte può capitare che il paziente «non trova quello che vorrebbe, e dunque può entrare in una situazione di crisi e di difficoltà».
Secondo Federica, infermiera che si trovava in piazza non per partecipare alla manifestazione ma per porre rimedio ad eventuali malori dei partecipanti, un modo per sterilizzare questo clima di odio, tranquillizzare i pazienti e aiutare le parti a venirsi incontro risiede nell’aggiornamento continuo del personale sanitario: «È importante che l’operatore sia sempre formato e aggiornato con le ultime scoperte. È ovvio che i pazienti valutano le figure professionali anche da questo, e se le considerano non adeguate allora vuol dire che occorre più formazione. Per noi quello formativo è un obbligo che svolgiamo quotidianamente, sia a livello personale che di strutture sanitarie. Ma bisognerebbe incentivarla di più» conclude.