Dalla collaborazione tra Fondazione Toscana Life Sciences e Spallanzani è nato il progetto di ricerca per lo sviluppo di anticorpi monoclonali umani in risposta all’infezione da SARS-CoV-2. Tanti i possibili utilizzi, a partire dallo scopo profilattico/terapeutico fino alla ricerca di antigeni per lo sviluppo di vaccini
Scienziati, virologi, immunologi e ricercatori in tutto il mondo stanno unendo le forze per combattere la pandemia causata da SARS-CoV-2. Attualmente, si stanno percorrendo diverse strade, tra le quali testare antivirali già conosciuti ed utilizzati per curare altre patologie, sviluppare nuovi antivirali specifici per SARS-CoV-2, produrre vaccini e infine, utilizzare approcci differenti come, ad esempio, l’utilizzo di anticorpi monoclonali.
Gli anticorpi monoclonali umani sono prodotti biologici terapeutici che possono rapidamente diventare “terapie” nelle emergenze cliniche, come quella da Covid-19. Per Ebola, hanno rappresentato la prima e unica soluzione per terapia e prevenzione. Nel laboratorio vAMRes, presso Fondazione Toscana Life Sciences, è partita una ricerca condotta in collaborazione con l’Ospedale Spallanzani che ha l’obiettivo di sviluppare anticorpi monoclonali per la cura dell’infezione da virus SARS-CoV-2. L’approccio sperimentale si chiama Reverse Vaccinology 2.0 e consiste nel prelevare il sangue di pazienti convalescenti o guariti da Covid-19 per isolare le cellule B, produttrici di anticorpi monoclonali.
Questi ultimi potrebbero rappresentare una terapia per le persone contagiate o essere usati per immunizzazione passiva – proteggere le persone a rischio di contrarre l’infezione – o per identificare l’antigene corrispondente che potrebbe costituire un vaccino. Del progetto di ricerca e dei vantaggi derivanti dall’impiego di anticorpi monoclonali umani abbiamo parlato con l’ERC Senior Scientist del VAMRes Lab presso la Fondazione Toscana Life Sciences, Claudia Sala.
Dottoressa Sala, di cosa si occupa il gruppo di ricerca vAMRes presso Fondazione Toscana Life Sciences a Siena?
«Il vAMRes Lab, fin dalla sua nascita nel 2018, implementa la metodica di identificazione di anticorpi monoclonali che possono essere testati in saggi in vitro sia contro specie batteriche sia contro quelle virali. Un approccio inizialmente (e tuttora) seguito per un progetto su batteri antibiotico-resistenti (per il quale il laboratorio ha vinto un ERC Advanced Grant da 2,5 milioni di euro) e che oggi vede il team di ricerca al lavoro anche sul virus SARS-CoV-2. vAMRes Lab ha, infatti, aggiunto una linea di ricerca dedicata al Coronavirus nell’ambito del Progetto C.Re.Me.P. (Centro Regionale per la Medicina di Precisione) finanziato dalla Regione Toscana e oggi si occupa del progetto recentemente presentato che ha l’obiettivo di sviluppare anticorpi monoclonali umani in risposta all’infezione da SARS-CoV-2, con l’intento di utilizzarli a scopo profilattico/terapeutico e come esca molecolare per la ricerca di antigeni per lo sviluppo di vaccini».
Com’è strutturata la collaborazione tra lo Spallanzani di Roma e Toscana Life Sciences?
«L’accordo con INMI Spallanzani è stato formalizzato ad inizio marzo per una collaborazione biennale volta allo sviluppo di anticorpi monoclonali umani che possano offrire una risposta rapida a malattie infettive emergenti. Nello specifico, in considerazione della attuale emergenza globale legata al diffondersi del Coronavirus, la Fondazione TLS e l’Ospedale Spallanzani hanno iniziato a collaborare al progetto specifico su virus SARS-CoV-2. L’Istituto, in qualità di I.R.C.C.S. dedicato alle malattie infettive, offre il suo prezioso contributo derivante dalla possibilità di arruolare pazienti in fase convalescente dalla malattia COVID-19 da cui prelevare campioni di sangue per l’isolamento delle cellule B, produttrici di anticorpi. Inoltre, l’ospedale Spallanzani dispone di informazioni e analisi dei pazienti con infezione COVID-19 e ha dimostrato di poter isolare, coltivare e caratterizzare l’agente patogeno. La Fondazione TLS ha già ricevuto dall’ospedale i primi campioni di sangue di pazienti con coronavirus SARS-CoV-2 in via di guarigione o guariti e il team di ricerca sta lavorando su questi per l’individuazione di anticorpi monoclonali».
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Gli anticorpi monoclonali rappresentano, dunque, uno degli approcci contro l’epidemia in corso. Ci può spiegare cosa sono e quali sono i vantaggi?
«Gli anticorpi monoclonali umani rappresentano una delle strade possibili in risposta all’epidemia da SARS-CoV-2. In generale, un anticorpo è una molecola proteica, prodotta dalle cellule B del nostro sistema immunitario in risposta ad infezioni batteriche oppure virali. Potremmo paragonare gli anticorpi a proiettili specifici che colpiscono il patogeno invasore. Si tratta di prodotti sicuri, già ampiamente impiegati in terapia tumorale e approvati da tutte le agenzie regolatorie e che, di recente, sono stati usati anche per malattie infettive. Ecco, noi riteniamo che questo sia un approccio particolarmente valido in considerazione del fatto che gli anticorpi monoclonali presentano diversi vantaggi: hanno tempi di sviluppo più rapidi rispetto ai vaccini o ad altri farmaci antivirali, tempi che si riducono ulteriormente trattandosi di virus, entità biologica molto piccola e meno complessa rispetto ai batteri; richiedono un approccio di ricerca e sviluppo molto flessibile e può essere applicato con le stesse metodiche, piattaforme e competenze sia ai virus che ai batteri; possono essere utilizzati successivamente anche per identificare gli antigeni bersaglio per lo sviluppo di vaccini».
Soffermandoci nello specifico sull’infezione da virus SARS-COV-2, in cosa consiste l’attività di ricerca sperimentale del laboratorio vAMRes con gli anticorpi monoclonali per contrastare la malattia?
«L’approccio sperimentale seguito prende il nome di Reverse Vaccinology 2.0 e consiste nel reclutare pazienti convalescenti o guariti da CODIV-19 e nel prelevarne il sangue che è utilizzato per isolare le cellule B, produttrici di anticorpi monoclonali. Questi ultimi sono clonati ed espressi in opportuni sistemi cellulari per essere poi testati in saggi in vitro contro SARS-CoV-2. I saggi includono la valutazione del legame dell’anticorpo al virus e la misura della attività neutralizzante dell’anticorpo contro il medesimo virus. Gli anticorpi monoclonali isolati mediante questo processo sono poi sottoposti ad ottimizzazione molecolare in modo da aumentarne l’affinità e/o la stabilità. Gli steps successivi prevedono i test sull’animale prima di andare in sperimentazione clinica sull’uomo. Gli stessi anticorpi possono essere utilizzati come esca in saggi biochimici per identificare gli antigeni da essi riconosciuti al fine di disegnare nuovi vaccini in modo razionale».
Gli anticorpi monoclonali umani sono stati utilizzati anche contro Ebola: con quali risultati?
«Il caso Ebola rappresenta un esempio significativo poiché in quel caso gli anticorpi monoclonali umani hanno rappresentato la prima e unica soluzione per terapia e prevenzione. Uno studio recentemente effettuato e pubblicato su Science ha dimostrato per la prima volta che anticorpi monoclonali umani sono efficaci contro il virus Ebola ed in soli 5 anni dalla loro scoperta hanno già raggiunto una sperimentazione clinica di fase IIb. Questo è un chiaro esempio di come gli anticorpi monoclonali umani possano rapidamente diventare potenti prodotti terapeutici contro emergenze cliniche».
Quali sono i possibili utilizzi degli anticorpi monoclonali per rispondere all’epidemia causata dal Coronavirus SARS-CoV-2? Si può parlare di una possibile cura e di un futuro vaccino?
«Gli anticorpi monoclonali potrebbero essere usati in terapia per le persone infette da SARS-CoV-2, come farmaci a tutti gli effetti. Inoltre, potrebbero essere utilizzati in immunizzazione passiva, ovvero per proteggere le persone a rischio di contrarre l’infezione. Infine, possono essere sfruttati per identificare l’antigene corrispondente che potrebbe costituire un candidato vaccino».
A che punto è la sperimentazione? Con questo approccio, i tempi per un futuro vaccino si ridurrebbero drasticamente, è corretto?
«Da parte nostra non si può ancora parlare di sperimentazione, dove con questo termine si intendono i test pre-clinici sull’animale e quelli clinici sull’uomo. In TLS siamo alla fase in vitro. È però plausibile che, data la conoscenza e la diffusione della metodologia descritta sopra, ci siano altri laboratori che stanno lavorando con lo stesso approccio che seguiamo noi e che quindi, unendo gli sforzi di tanti, si arrivi presto ad una molecola candidata. Relativamente al vaccino, sì è vero. È possibile che i tempi per l’identificazione di un antigene candidato per inclusione in un vaccino si accorcino».
Negli ultimi giorni, si è tanto parlato dei test rapidi sugli anticorpi per determinare se si è stati infetti e guariti o se l’infezione è ancora in atto. Secondo lei, si tratta di test attendibili?
«Su questo ho avuto il parere di un medico impegnato nella cura dei pazienti COVID-19. A suo parere, questi test soffrono, per il momento, di carenza di riproducibilità e/o di variabilità tra un test e l’altro. Sicuramente si possono ottimizzare e confido che si ottimizzeranno».
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