Un gruppo di ricercatori internazionali, coordinato dal Dipartimento di Scienze cliniche internistiche, anestesiologiche e cardiovascolari della Sapienza, ha dimostrato per la prima volta come la risposta immunitaria peggiori il decorso della malattia nei pazienti affetti da sclerosi multipla. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Cell Death & Disease
La sclerosi multipla (SM) è una malattia autoimmune neurodegenerativa che colpisce circa 2,8 milioni di persone nel mondo, di cui quasi 130.000 solo in Italia. Nella SM alcune cellule del sistema immunitario, i linfociti T, si attivano in maniera anomala e danneggiano, così, i tessuti del sistema nervoso centrale. Questa attivazione avviene perché i linfociti T riconoscono non solo gli antigeni derivati dallo stesso tessuto neuronale ma anche altri antigeni che restano nascosti in condizioni normali, per poi svelarsi in caso di stress tissutale, e che pertanto vengono definiti “criptici”, Questi possono svelarsi, ad esempio, nel corso del processo apoptotico dei linfociti T, cioè quando queste cellule vanno incontro a una morte programmata (apoptosi) al termine delle loro funzioni.
Come dimostrato in uno studio del gruppo di ricerca di Vincenzo Barnaba, del Dipartimento di Scienze cliniche internistiche, anestesiologiche e cardiovascolari della Sapienza, la risposta immune verso gli antigeni criptici derivati dall’apoptosi viene correlata alla severità della malattia. Infatti nei pazienti con sclerosi multipla le cellule T apoptotiche aumentano e, parallelamente, aumentano le cellule T che riconoscono antigeni criptici liberati durante il processo di morte.
Nel nuovo lavoro pubblicato sulla rivista Cell Death & Disease, il team di ricerca coordinato da Vincenzo Barnaba e Silvia Piconese della Sapienza ha osservato il ruolo della risposta immune anche su un modello murino sperimentale di malattia, mostrando come la somministrazione degli antigeni criptici peggiori il decorso della malattia, a riprova del ruolo sfavorevole che questa risposta riveste nel danno autoimmune.
La ricerca, finanziata dalla Fondazione italiana sclerosi multipla, ha visto la collaborazione di diversi enti e università sia italiani che stranieri, come l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, l’Institute of Immunology La Jolla di San Diego (USA), l’Università Federico II di Napoli e l’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia del Cnr di Napoli, l’Irccs Santa Lucia e l’Istituto Pasteur Italia-Fondazione Cenci Bolognetti di Roma.
Lo studio ha evidenziato come, dopo induzione di malattia, le cellule T specifiche per gli antigeni criptici si accumulano nel sistema nervoso centrale e presentano un fenotipo effettore, in grado cioè di svolgere le loro funzioni senza necessità di segnali co-stimolatori. Queste cellule esistono anche in animali sani, ma non si attivano in risposta a una immunizzazione convenzionale, probabilmente perché vengono controllate da meccanismi di immunosoppressione. Si attivano, invece, e migrano nel sistema nervoso centrale, quando viene indotta la malattia, probabilmente perché questa sovverte tutti i meccanismi protettivi.
«In questo studio abbiamo esplorato lo sviluppo e la funzione della risposta immunitaria agli antigeni criptici associati all’apoptosi in un modello murino consolidato di malattia, l’encefalomielite autoimmune sperimentale – spiega Vincenzo Barnaba di Sapienza, coordinatore del lavoro – e abbiamo confermato su questo modello i principali risultati da noi osservati in precedenza sia nei pazienti con sclerosi multipla, sia in pazienti con diverse forme di infiammazione cronica, come in pazienti con AIDS, con epatite cronica da virus B o C, o artrite reumatoide. In altre parole, le risposte immunitarie contro gli antigeni criptici derivati da cellule apoptotiche rappresentano un meccanismo generale di esacerbazione delle malattie infiammatorie croniche».
«È interessante notare che abbiamo scoperto che le cellule T (CD8+) specifiche per gli antigeni criptici erano presenti anche negli organi linfoidi di topi unprimed, ovvero non indotti alla malattia – conclude Silvia Piconese, co-coordinatrice dello studio -. Tuttavia queste cellule non riuscivano a rispondere all’immunizzazione peptidica in vivo, suggerendo in questo caso un controllo fisiologico della risposta». Queste osservazioni dimostrano che la risposta autoimmune nell’SM è molto complessa e che anche fenomeni fisiologici come l’apoptosi possono diventare patologici, in contesti di infiammazione cronica.
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