La depressione in gravidanza sembra essere correlata a una precisa attività cerebrale. A scoprirlo è stato uno studio dell’Università di Tubinga, presentato durante il congresso dell’European College of Neuropsychopharmacology
La depressione in gravidanza sembra essere correlata a una precisa attività cerebrale. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Tubinga (Germania), in uno studio presentato durante il congresso dell’European College of Neuropsychopharmacology (ECNP). Nel lavoro sono state coinvolte 15 donne sane e in dolce attesa, con livelli di estrogeni molto elevati. Tutte le partecipanti stavano affrontando il quinto o sesto mese della prima gravidanza, e sono state sottoposte a scansioni di risonanza magnetica mentre osservavano immagini inquietanti. I risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti da 32 donne non incinte.
Circa l’80 per cento delle donne, spiegano gli esperti, soffre di “baby blues”, un breve periodo di depressione che generalmente scompare in pochi giorni, ma che in alcuni casi può essere seguito da una vera e propria depressione post-partum. Nelle manifestazioni più acute, le neomamme sperimentano difficoltà a regolare le emozioni negative. Nell’ambito del lavoro, i ricercatori hanno scoperto che nelle donne incinte sane l’attività cerebrale in una specifica area profonda del cervello è collegata alla regolazione delle emozioni negative e alla tendenza a sviluppare i sintomi della depressione.
Gli esperti sperano di sviluppare un test in grado di individuare le donne più a rischio di sviluppare depressione post-partum. Nell’ambito dell’indagine, i ricercatori hanno chiesto alle partecipanti di regolare il proprio stato emotivo attraverso la rivalutazione cognitiva, una tecnica attraverso cui l’utente cerca di controllare le emozioni attraverso i pensieri e interpretando la situazione. “Abbiamo osservato le donne gestire le emozioni negative”, spiega Franziska Weinmar, tra le autrici dello studio. “La rivalutazione cognitiva non sembrava efficace durante la gestazione. Tutte le partecipanti – continua – riuscivano a gestire le emozioni cercando di reinterpretare la situazione, ma nelle donne incinte il controllo consapevole sembrava più complesso. L’imaging ha mostrato una maggiore attività dell’amigdala durante la gravidanza”.
“L’interpretazione di questi dati necessita ulteriori approfondimenti – sottolinea Weinmar – il nostro lavoro si basava su un piccolo campione e siamo i primi a documentare questi risultati. Nei prossimi step dovremo considerare una coorte più ampia e variegata. Se i dati verranno confermati, potremmo iniziare a sviluppare un test specifico e una strategia mirata per le donne durante le fasi più vulnerabili. “Studi come questo – afferma Susana Carmona, dell’Ospedale Gregorio Marañón di Madrid – sono essenziali per comprendere uno dei processi fisiologici più estremi che un essere umano possa sperimentare: la gestazione. È sorprendente quanto poco sappiamo ancora di questa fase importantissima nella vita della donna”.
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